mercoledì 11 novembre 2015




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L'Intuizione: Romanzo contemporaneo. 



Il protagonista, in una sola giornata, raccontata dalla mattina alla sera, ripercorre la sua vita e in un caleidoscopi di metafore, ricordi, coincidenze e aneddoti, si illumina sul senso della sua vita e, soprattutto, sui fatti accadutogli, mettendo in relazione le persone che ha conosciuto, le emozioni provate, le esperienze vissute, da quelle lavorative a quelle spirituali. Buttando un ponte tra religione e aspetti pratici della vita, colgo anche l'occasione per spaziare sui grandi temi dell'esistenza, Dio, la Conoscenza, l'Inconscio.





Cerco editore per il mio secondo libro: 

Un uomo, molti amori, mille vite:

Primo capitolo: 

Ultimo capitolo: 

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo secondo 
Paragrafo primo



Giunto davanti al semaforo rosso il cellulare trillò l'arrivo di un sms. “Strano” pensò Alex lanciando un'occhiata all'orologio di bordo e considerando che a quell'ora del mattino non era solito ricevere messaggi, nessuno dei suoi collaboratori si sarebbe permesso se non fossero state almeno le 9 e 30. Era quella l'ora in cui, almeno ufficialmente, iniziava la giornata lavorativa. Approfittò del perdurare del rosso del semaforo per soddisfare velocemente la curiosità di sapere chi fosse il mittente. “Buongiorno e grazie” le aveva scritto Julia, buongiorno e grazie ripeté mentalmente Alex. Da Vienna gli giungeva quel buongiorno inaspettato e sicuramente piacevole. “Strano” ripensò Alex. Non era mai successo prima. Il messaggio appariva come l'eco di quella conversazione telefonica della sera precedente, si erano scambiati impressioni importanti sulla loro amicizia, che si poteva dire appena nata. Qualcosa doveva essersi mosso. Giusto un attimo prima che il semaforo desse il verde riuscì a rispondere al messaggio. Non volle inventarsi nulla di nuovo e di originale e al contempo intendeva trasmettere, anzi ri-trasmettere quella sensazione di piacere provata per mezzo di quella breve frase. A rischio di sembrare banale optò per quella che al momento riteneva la cosa più autentica che sentiva di dire, sia per ringraziare e sia per contraccambiare. Buongiorno e grazie, riscrisse e lo inviò. Il semaforo, come sincronizzato a quell'invio, scattò al verde. L'automobile ripartì silenziosa nel traffico di quella via Salaria che al momento sembrava ancora addormentata. Al parcheggio di Settebagni avrebbe lasciato l'auto per entrare nella city con i mezzi pubblici. Da sei mesi aveva aperto quell'ufficio in Viale XXI Aprile, a due passi dalla fermata del metrò.

Uno stridio di ferodo avanzava dalla buia galleria fino a quando trasformandosi in decibel sempre meno sopportabili fu coperto dallo sbattere delle porte che si aprirono davanti ai suoi piedi. Entrò nella carrozza semivuota e, come era sua abitudine, prese posto in piedi nonostante a quell'ora del mattino i posti a sedere abbondassero. Il marciapiede iniziò a scorrere sempre più velocemente fino a quando le buie pareti della galleria non gli rimandarono il riflesso del suo viso dal vetro spesso e infrangibile del finestrino della carrozza.
Si erano conosciuti qualche mese prima ad un incontro di crescita spirituale, nonostante gli interessi lavorativi di Alex riguardassero la formazione, il coaching, partecipare a quegli incontri di tutt'altra natura gli era necessario per nutrire una parte di sé che vibrava a frequenze diverse, per lui, in realtà, erano più che altro una pausa. Rappresentavano un ottimo sistema per abbandonare il tran tran della quotidianità della vita, lì si poteva fermare il flusso impetuoso della vita, focalizzarsi su se stessi per ritornare inevitabilmente rigenerati, soprattutto nello spirito, così da riversare nuove e più fresche energie nella vita di tutti i giorni. E soprattutto agli allievi dei suoi corsi di formazione.

Julia lavorava a Vienna e la sua attività differiva leggermente da quella di Alex, certo anche lei era impegnata nel settore della formazione, ma gli argomenti dei suoi corsi si rivolgevano al mondo delle emozioni, a quell'aspetto della natura umana che oggi è così tanto trascurata. Si erano trovati a frequentare lo stesso ritiro in un villaggio ai piedi del Monte Rosa, avevano fatto amicizia e poi il telefono, l'email e gli sms avevano contribuito a sostenere una relazione gentile e cordiale. E come avrebbe potuto essere diversamente data l'attenzione a cui i due erano spontaneamente portati? Nella realtà, per come stavano le cose, al momento la si poteva considerare una relazione virtuale, anzi un'amicizia virtuale, sulla quale Alex, da qualche giorno a questa parte, iniziava a farsi delle domande.
Per lui, infatti, era come una grande incognita, se avesse dovuto rappresentarla alla lavagna, l'avrebbe disegnata come una grande X. Da quelle poche sedute avute con Dalila, la sua terapeuta, era uscito fuori che era proprio la relazione oggettuale con la donna che gli muoveva un senso di angoscia. Da quando era entrato in contatto con questa parte di sé aveva letteralmente preso coscienza che bastava l'idea di avvicinarsi ad una donna a farlo stare male. Si faceva mille domande. Aveva paura di amare o si trattava soltanto di una grande timidezza?


“Da quello che mi dici, Alex, riguardo a come ti senti quando una donna ti piace e dal tono della tua voce, mi viene da pensare che le donne ti mettono ansia, ti spaventano, come se tu avessi paura” le disse Dalila durante l'ultima seduta di due mesi prima. “Sì” disse Alex, e percorrendo con lo sguardo la libreria alle spalle di Dalila, quasi a voler evitare un incontro di sguardi aggiunse “Forse è così”. Sentiva che era vero, iniziava ad avvertire un senso di angoscia e forse anche un'antipatia verso le donne in generale, e sentirselo dire da un'altra donna, Dalila, lo infastidiva maggiormente. Contare i libri sugli scaffali, soffermarsi sulla qualità della rilegatura e carpirne i titoli scritti in verticale, da quella distanza, non era facile, restava comunque un buon sistema per sfuggire a quella sensazione di disagio che emergeva con imbarazzo, con insistenza. Prenderne atto non era facile, né semplice, né comodo. Mostrando un senso di stanchezza e di resa, Alex si massaggiò la nuca e convenendone la concretezza di quanto appena emerso, all'improvviso sentì un moto di ribellione. Si mosse sulla poltroncina come a ritrovare una posizione più stabile, a voler fissare in una nuova postura quella consapevolezza sulle donne e quasi con l'intenzione di sfidare il genere femminile tutto, fissò Dalila diritto negli occhi dicendo “Sì, sicuramente”. Dalila ricambiò il suo sguardo, quasi con indifferenza, sembrava impassibile, con i suoi occhi scuri sormontati da marcate sopracciglia latine e con quei capelli da un nero corvino che avvolgendole il viso lambivano appena appena le spalle lasciando scoperto il collo ritto e morbido. Nonostante l'aria indifferente di Dalila, si percepiva un'attesa, un'attenzione che Alex sentiva come uno scavare dentro, per questo lui, di riflesso, prese a scavarle i lineamenti, scoprendo nei suoi occhi quel fascino mediterraneo che non tutte le donne apprezzano e forse non sanno neanche di avere, soffermandosi sul profilo delle labbra carnose, che immaginava calde e morbide. Anche Dalila, la sua terapeuta, gli piaceva, e come non poteva essere altrimenti? Alex ne era semplicemente affascinato. Adesso nella penombra di quello studio qualcosa sembrava stonasse con la femminilità di Dalila. La sobrietà dell'arredamento i cui colori andavano dal noce scuro della libreria al mogano della grande scrivania gli ricordavano lo studio di un notaio più che di un terapeuta eppure non era la prima volta che si sedeva lì, su quella sedia, davanti a lei. Come mai lui che era sempre così attento, così curioso, non avesse fatto caso a quanto quello studio, quell'ambiente era così poco rappresentativo di Dalila? Adesso invece tutto gli appariva più chiaro, come se la scoperta di questo sentimento negativo che nutriva verso le donne gli avesse aperto non solo la mente ma anche gli occhi. Sullo studio non c'erano dubbi. Si avvertiva una forte influenza maschile e questo spiegava anche la placca giù sul portone di ingresso, Studio Associato e poi un'altra parola della quale Alex non ne ricordava il nome, dava adito di pensare che Dalila non fosse l'unico professionista a operare lì.


continua.....

lunedì 2 novembre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo quinto


Cespuglio di margherite giganti



La scena del sogno continua con Alex impegnato in un lungo percorso per recarsi al congresso che l'avrebbe portato per strade di campagna, viottoli a bordo di campi incolti, fino a passare per un piccolo paese, un pugno di case, dove attraverso stretti vicoli la sua camminata diventava sempre più ardua. Anche per via di un'ingombrante sedia di legno, quelle di vecchia fattura, priva di braccioli, con cui doveva segnare ogni passo che compiva. Era come se la usasse a mo' di bastone. Fin quando il cammino si svolgeva per le strade, il percorso, anche se faticoso, si rendeva fattibile, quando invece si trattava di immettersi in stretti vicoli la presenza di quella sedia diventava un vero e proprio ostacolo al proseguire. Alex era quasi giunto alla fine del paese, lo aveva attraversato quasi tutto, quando uscendo da un basso portico, di quelli che si trovano ancora nei centri storici dei piccoli centri, si trovò a fare l'equilibrista con la sua sedia, tanto era divenuto stretto il vicolo, e per di più, tra pochi metri quel vicoletto si sarebbe trasformato in una ripida scalinata che l'avrebbe portato al livello inferiore dove correva la strada principale del paese. Era una scala i cui gradini, man mano che si digradava, diventavano sempre più piccoli e le mura sempre più strette fino al punto in cui la sua sedia sarebbe sicuramente rimasta incastrata. Insieme ad Alex. “Non è proprio il caso di passarci” pensò dopo aver bene osservato la forma e lo scendere di quella scala. “Sicuramente sarò costretto a tornare indietro, tanto vale non tentare” si diceva mentre osservava la strada principale, larga e comoda, che passava a pochi metri più sotto. Perciò preferì fare retromarcia, e dalla cima della scala si rivolse come a tornare indietro ma solo per fare un giro un po' più lungo. 

Dopo un po' Alex già camminava agevolmente sulla strada sottostante, la sedia non gli era più d'impiccio, e pensare che solo qualche secondo prima quella stessa strada gli sembrava inaccessibile e irraggiungibile, e che invece solo per una piccola deviazione, adesso la si poteva percorrere in tranquillità e andare oltre. Fu a quel punto che sopraggiunse il professore a bordo di una vettura comoda e spaziosa, quella con cui è facile trasportare anche dei carichi abbondanti e ingombranti, una furgonette. Il professore dimostrava così, anche con la scelta dell'auto, di essere una persona estremamente pratica e di rifuggire tutto ciò che aveva il senso del superfluo e dell'inutile.

All'improvviso è notte, la furgonette si avvia a transitare per la strada principale del paesino e ad un certo punto il tragitto continua e si insinua in una galleria. Non era una vera e propria galleria stradale quanto una specie di grotta naturale illuminata da luci che davano alle mure e alla strada singolari riflessi di colore giallo, come se l'illuminazione provenisse da lampade a petrolio, anzi sembrava che la luce provenisse da una tecnologia ancora più primitiva. Dalle ombre che ondeggiavano sui muri pareva che il tutto fosse adornato da bastoni fissati alle pareti e impregnati da grasso di balena il che dava alla scena un senso di magia misto ad inquietudine. Ad un certo punto il cammino termina di fronte ad un garage, più che un garage sembra una grotta nella grotta il cui ingresso è chiuso da una porta basculante. La furgonette si arresta proprio davanti alla grotta, la porta si apre, e un grande spazio riempie la vista un po' stupita di Alex. 

Lì sotto era pieno di quegli oggetti tipici che si portano “giù” in garage o in cantina o in un deposito dove finiscono quelle tante cose che non riteniamo più utili e da cui, nonostante l'inutilità che rappresentano per la nostra vita, non ce ne riusciamo a staccare del tutto. Per questo le releghiamo in cantina e non le diamo al rigattiere. E' come se un legame ci unisse ancora a questi oggetti che un tempo erano rappresentativi di un pezzo della nostra vita interiore e allora continuiamo ad accumulare, accumulare e accantoniamo giù, giù, sempre più giù, oggetti di scarto, usati, rotti, mutilati. Oggetti consumati dal passato, dalla vita, oggetti che portano il segno dei nostri errori e che ancora sono per noi come cicatrici non guarite. Per questo sono là, nel cimitero del nostro inconscio, perché aspettano di essere sanate, attendono che noi decidiamo, un giorno o l'altro, di guarirle. Non riusciamo a distruggerli, questi oggetti, questi pezzi della nostra vita, potremmo bruciarli come ai tempi addietro nei rituali fuochi purificatori di Sant'Antonio o buttarli giù dal balcone, seguendo un sport nazionale oramai abbandonato, come quando l'anno giungeva alla notte di San Silvestro. Il povero santo nulla c'entrava con il nostro desiderio di fare spazio, era soltanto un gesto, quello di buttare giù, che avrebbe permesso al nuovo di entrare nella nostra vita alla pari di quel nuovo anno che rinasceva, anche solo dal calendario, in un primo istante di un primo giorno di un primo mese per ripetere l'eterno ciclo del tempo. Era solo un rito, anche quello, un mistificatorio rito, ma non per questo privo di importanza e di significato per il nostro inconscio collettivo. 

Così era la cantina del professore, piena, anzi strapiena e, conoscendolo, non avrebbe potuto essere diversamente. Prima di arrivare alla grotta del professore, durante il tragitto nella furgonette, era avvenuto un fatto strano. Il professore, mentre era alla guida, aveva posato un braccio sulle spalle di Alex, e sorridendo aveva detto “Eh Alex, la conferenza di stasera, la parte di assistente, e adesso ti trovo per puro caso a chiedere un passaggio. Proprio amore a prima vista, il nostro, un vero colpo di fulmine. No?”. A tali parole Alex rimase alquanto imbarazzato ma bastò la risata del professore per fargli intendere che quella frase era solo un'altra delle sue battute, buttata là per adeguarsi a quel suo modo di essere anticonformista. “Scherzavo!” disse il professore. Così dicendo la mano del professore ritornò sul volante lasciando Alex libero di fare un bel respiro di sollievo. Nella caverna il professore si prodigò in una scena in cui per mostrare come alcuni suoi colleghi si stavano preparando a quella serata. Per interpretare la loro ansia per quell'attesa si mise in bocca 4/5 sigarette, sottolineando in tale modo come stavano affrontando il nervosismo pre-serata, e poi, come mostrando il lato buffo della situazione, sputò d'un colpo per terra le sigarette e con una fragorosa risata si spinse all'indietro sulla quella vecchia poltrona abbandonata alzando gambe e braccia come un bambinone e mostrando le mani a pugno in segno di vittoria. 

Un' altra persona aveva assistito silenziosamente a questa scena di gaudio e la presenza di un altro spettatore, oltre ad Alex, sicuramente aveva incitato il professore a quella rappresentazione a dir poco teatrale. L'altro rimaneva in silenzio, in un angolo leggermente meno illuminato rispetto al resto del deposito-grotta. Alex, nonostante non lo vedesse in volto e fosse avvolto da leggera ombra, lo percepì comunque come uno spirito buono. L'ultimo show del professore consistette nel disfarsi delle scarpe sfregando i talloni l'uno contro l'altro e, facendole volare da sopra alla furgonetta, si apprestò, a suo dire, alla ricerca dell'elegante abito necessario alla serata. Fu allora che si rivolse ad Alex con uno sguardo sorridente quasi a volergli dire: “Keep calm and relax”. 


Dal balcone della cucina, anche senza affacciarsi si poteva vedere il traffico delle autovetture che, a quell'ora del mattino, era più che scorrevole. Entro pochi muniti anch'egli sarebbe stato parte di quel flusso di automobili per giungere al suo ufficio nei pressi della Nomentana. “Certo” si disse Alex dando fine al fondo della sua tazza, ritornando alla realtà e ripensando ancora a quell'annuncio (Voglio una relazione seria), “Ci sono vari modi di intendere la serietà”. Anche il professore era, in cattedra, nei consigli, con i colleghi, una persona che teneva ai valori e soprattutto al rendimento degli allievi. E non per questo, a dispetto del parere degli avversi colleghi, che proprio non digerivano il suo humour, non fosse una persona seria. Anzi, certamente era il più serio di tutti.



sabato 31 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo quarto


Tramonto su Campolongo - Salerno

Quello schema nel sogno invece, con poche linee, rappresentava degnamente come si sarebbe svolto quel momento e le modalità in cui Alex sarebbe intervenuto. Secondo il professore, così come spiegava anche il tracciato alla lavagna, bastava che Alex rivolgesse la sua attenzione ad alcune parole magiche e a dei gesti precisi. Sarebbero stati questi i segnali indicanti ad Alex come e quando intervenire, ed anche se temesse che quell'incarico fosse troppo impegnativo, suo malgrado dovette accettare. Non se la sentì di rifiutare poiché il professore gli stava veramente servendo un'occasione d'oro su un piatto d'argento, e così Alex ne convenne che avrebbe recitato la “parte” dell'assistente. Decise di mandare a mente lo schema del professore memorizzandolo in ogni suo passo; si rese così conto che il lavoro da svolgere risultava più semplice a farsi che a pensare di farlo. In realtà trovarsi di fronte ad una platea così vasta come sarebbe stata quella che tra poche ore avrebbe riempito l'aula magna era motivo di inquietudine. Aveva bisogno di una soluzione per allentare lo stress che la timidezza gli procurava in quella situazione, in cui la parte di assistente del grande e geniale professore, rappresentava, invece un buon trampolino di lancio per la sua carriera. La soluzione fu di convincersi che tutto sommato, non avrebbe avuto modo di guardare il pubblico negli occhi, poiché gli occhi, i suoi per l'appunto, sarebbero stati abbagliati dai riflettori puntati verso la sua persona e quella del professore. Difficilmente quindi avrebbe visto chi lo guardava. A questa idea il suo animo si rassicurò non poco.

Il professore per infondergli maggior coraggio, ed in questo non mostrava affatto quel suo lato spiritoso con cui affrontava problematiche anche importanti, gli suggerì di farsi un giro di perlustrazione della sala congressi. Gli consigliò di prendere conoscenza della posizione della sua poltrona e del tragitto che avrebbe percorso per raggiungere il palco. Questa visita alla sala gli avrebbe permesso di acquistare sicurezza e padronanza in tutto ciò che sarebbe avvenuto dopo. Ed Alex così fece. Si addentrò nella sala e prendendo coscienza di quello spazio si immaginò come si sarebbe svolta il suo recarsi al palco e cosa avrebbe detto il professore e come egli lo avrebbe assistito durante la conferenza. Tutto questo immaginare durò forse qualche secondo. La mente è sempre molto rapida a costruire false realtà, anche se in questo caso si trattava di crearne una che di li a qualche ora si sarebbe verificata concretamente.


Alex, come già detto, cercava di evitare la proposta del professore con la scusa di parcheggiare la macchina del suo amico, che nella vita reale esercitava la professione di architetto e con cui non intratteneva più nessuna relazione avendone interrotto da tempo l'amicizia. Alex rivolse il suo sguardo a Raphael, apparso sulla scena del sogno, constatando con amarezza che nonostante fossero passati tanti anni sembrava non fosse invecchiato. A ben pensarci era vecchio già da giovane. Sul viso circondato dalla solita barba alla leonida permaneva la consueta espressione senza emozione, come di chi, a parte dalle proprie idee, non è interessato ad altro. Con l'architetto, invece, erano stati colleghi di lavoro ed il datore un giorno si trovò a fare una scelta. L'azienda attraversava un periodo difficile, le commesse erano in calo, i debiti in aumento, e si doveva ricorrere ad una riduzione dei costi. Uno dei due sarebbe stato licenziato, e la decisione, almeno per quel reparto, riguardava Alex e il suo ex amico architetto. La scelta cadde sull'ultimo arrivato, su Alex, nonostante le sue competenze superassero quelle del collega; queste di Alex andavano dalla contabilità all'informatica, dal marketing alla consulenza aziendale. In verità all'azienda non interessava e né serviva un architetto; riguardo alle competenze del collega, il disegno, il calcolo, chiaramente Alex non poteva concorrere, e comunque l'amico era praticamente sprecato in quella dimensione aziendale. In realtà tutte le sue complesse specificità architettoniche si riducevano a qualche disegnino su autocad e a concordare con il capo produzione, che ne sapeva molto più di lui, su come affrontare gli aspetti tecnici legati alla produzione. 

Per questo ad Alex gli fu consegnata la lettera di licenziamento e l'azienda si tenne l'incapace quanto inutile architetto confermando con tale azione la mediocrità di tutti quegli imprenditori, e non sono pochi, che preferiscono mettere alla gogna competenze e professionalità pur di tenersi in azienda l'amico dell'amico o l'amico della persona influente di turno. Questa classe di imprenditori, dopo essersi assicurata l'incompetenza del dipendente amico passa poi a lamentarsi del mercato che “non tira”, dei clienti che “non pagano” e delle inefficienti politiche dello stato e delle banche per finire alla spietata e sleale concorrenza dei cinesi. Ad altri colleghi sarebbe toccato a breve, considerando la maestria con cui si esercitava la gestione dell'azienda, inevitabilmente, la stessa sorte; l'azienda stagnava in una recessione economica e la possibilità di conservare un posto era sempre più labile. Tale situazione avrebbe riguardato, nel breve futuro, molte figure lavorative di quell'azienda.

giovedì 29 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo terzo


Colline nei pressi di Capaccio - Salerno

Il caffè saliva facendo borbottare la caffettiera. Alex ruminando il suo sogno era passato dal bagno alla cucina e si apprestava a rifornirsi di caffeina così che ogni offuscamento mentale residuo del risposo notturno sarebbe scivolato via. Una tazza di caffè bollente gli avrebbe schiarito completamente le idee. Bevve un sorso e si diresse nello studio all'ingresso dove, al ritorno da lavoro, era solito lasciare la ventiquattro ore. Ne trasse l'agenda e continuando a sorseggiare il caffè, ritornò in cucina. Si sedette per dare uno sguardo agli impegni di quella giornata e considerò che avrebbe potuto farcela. L'agenda era sì piena ma non abbastanza da farlo rientrare stressato, era sua abitudine prefissarsi ritmi adeguati a quelli che lui definiva “personali” indicando così, come era solito dire ai corsisti che partecipavano ai suoi corsi di formazione, che ogni persona ha un suo ritmo, ha una sua specificità nell'impiegare le risorse per raggiungere gli obiettivi. Gli piaceva molto, durante i corsi, proporre la frase “attraversare il tempo” e pensandoci adesso, mentre passava lo sguardo sugli appuntamenti della giornata, qualcosa nella sua mente, a questa frase, “attraversare il tempo”, gli fece pensare alla relatività, e poi con una banale quanto inevitabile associazione ad Einstein, per arrivare al professore. E di ritorno al sogno.

Qualche scena più in là, dopo un po', nel sogno compare il famoso professore a proporre ad Alex, quasi in contrapposizione all'esagerata umiltà che mostrava nel ritirarsi dagli eventi importanti, come il partecipare anche solo da spettatore all'imminente congresso, di essere suo assistente sul palcoscenico. Quando il professore sarebbe salito sul palco per illuminare la platea su aspetti complicati della fisica, compresi quelli riguardanti la branca della fisica quantistica, delle interazioni tra la dimensione pensata della mente e la dimensione dei fatti reali, avrebbe sicuramente fatto ricorso al suo amato humour per spiegare la scienza e la fisica con divertenti metafore. Mentre l'ilarità avrebbe scosso i presenti, Alex sarebbe stato lì, a far da assistente al suo professore. Qualcuno, per non dire molti, non avrebbe compreso le sue teorie, né tanto meno il suo intelligente humour, e questo faceva parte di quei fatti che, si sa, inevitabilmente accadano. 

Gli esseri umani perseguivano da tempo, quel processo di atrofizzazione dei centri cerebrali volti alla capacità sia di comprendere la differenza tra buono e inutile e sia di sviluppare comportamenti adeguati alla sopravvivenza della specie, per cui ogni tentativo di cambiamento, anche lieve di questa struttura psichica, richiede uno consumo enorme di energia in termini di attenzione, di stimolazione, di verifiche e di risultati a dente di segna; si abbisognava di una innata capacità di sopportazione e di pazienza per restare in quell'ambiente accademico dove si veniva matematicamente a dimostrare la teoria del soprannumero di ignoranti e di presuntuosi che circolano sulla superficie terrestre rispetto agli umili e ai capaci. Ciò non toglie che sia il professore che Alex e di tutti coloro di cui si è trattato fin qui, avrebbero potuto far parte delle prime due classi di individui, e questo non per offrire al lettore del momento un simulacro di scuse, tanto per confutare che l'ego, quando è isolato dalla consapevolezza, parola che ci riporta alla coscienza di sé e di rimando alla conoscenza di se stessi, da qualsiasi pulpito faccia sentire la sua voce, è notoriamente portatore sia di illusioni che di falsità. Più di illusioni, in verità.

Alex sarebbe stato così ricompensato dalla buona sorte. Il professore gli aveva suggerito anche il posto, contrassegnato dal codice 24h, che sarebbe stata la poltrona a lui riservata e da cui si sarebbe gustato quell'importante avvenimento accademico dove molte personalità importanti, del mondo della scienza, avrebbero illustrato le loro ultime teorie. Alex avrebbe avuto una poltrona prenotata e da lì poi si sarebbe alzato per accompagnare il professore al palco, genio tra i geni di quella serata, con lo stupore di molte sue conoscenze, che sarebbero rimaste, a causa della forte invidia da sempre nutrita verso il mite Alex, chi senza fiato e a chi invece il fiato non sarebbe mancato sarebbe rimasto a bocca aperta, con la tipica espressione del pesce a cui un ictus gli ha appena devastato quella zona cerebrale deputata all'articolazione della parola.


Alex con l'umiltà che gli era familiare e che esternava anche nel sogno, dove addirittura sembrava che si accentuasse maggiormente, espose i suoi dubbi sulle capacità di poter assistere degnamente il suo mentore in mezzo e davanti a quella enorme platea. “Niente paura” lo rassicurò il professore e per meglio spiegare come si sarebbe svolto la sua opera di assistenza disegnò uno schema alla lavagna, proprio come era solito fare ai tempi della scuola, con quello stile tipico del professore che usa il gesso come un prolungamento delle sue capacità comunicative. Il professore era capace di rivolgere le spalle alla scolaresca per periodi che sfioravano la mezz'ora piena, mentre era intento a scrivere formule dopo formule, da cui traeva paradossi e diseguaglianze, attraversando il territorio dei logaritmi, dribblando tra integrali ed equazioni a enne variabili, e scriveva, scriveva, scriveva fino a quando non c'era più spazio alla lavagna. Era quello il momento in cui rivoltandosi alla scolaresca fissava i suoi alunni come se fosse in trance e discendesse, proprio in quell'istante, da un'astronave proveniente dal pianeta Pitagora. Quanto ai ragazzi, invece, avevano la faccia di chi avesse appena assistito al big bang. In quei momenti sembrava che tutta la scolaresca attraversasse un tunnel spazio temporale, come se le formule alla lavagna stessero materializzando quell'universo matematico così da trasportare come in un vortice studenti, professore, banchi, lavagna, libri, quaderni, sedie, penne e tutto ciò che in quell'aula fosse dotata di una dimensione atomica in un angosciante qui ed ora. Solo un attimo e poi la totalità degli elementi costituenti il sistema aula, come un unico organismo, sarebbe ritornato dal quel viaggio nel tempo di una manciata di microsecondi, tirando un sospiro di sollievo. Quando il gessetto con cui spaziava alla lavagna si riduceva ad un microscopico monchetto, allora egli mostrando quel che rimaneva si rivolgeva alla classe attendendo pazientemente che qualcuno si occupasse di farne rifornimento. Velocemente un volontario si sarebbe alzato dal suo banco, sotto gli occhi intimidatori e minacciosi dei suoi compagni, sarebbe corso dal primo bidello disponibile per ritornare, velocemente in classe, troppo velocemente secondo i compagni, a rifornire il professore genio, che, nel frattempo, aveva acceso e aspirato avidamente mezza MS con le sue dita oramai segnate dal nero nicotico. 

mercoledì 28 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo secondo


Come il professore, anche questa figura, apparteneva all'epoca della scuola superiore. Si trattava di Raphael, il collega più antipatico con il quale Alex avesse mai potuto condividere un banco di scuola e la sua figura, nel sogno, era la stessa di tanti anni fa. Come ai tempi del college, degli occhialini da intellettuale a tutto tondo gli stringevano sul naso e mostrava la stessa identica faccia da ebete con cui si presentava a conferire nelle materie di fisica e di geometria quando veniva chiamato per le interrogazioni di rito dal professore e lui, in quei frangenti, mostrava tutta la sua ignoranza e la sua incapacità nel formulare un ragionamento critico e logico così come quelle materie esigevano e che in fin dei conti erano i suoi lati deboli, abituato com'era a ragionare sui massimi sistemi. E sì, perché lui, Raphael il compagno, era così che lo chiamavano, non aveva altri argomenti per la testa che il comunismo e la lotta di classe. Con il senno di poi Alex avrebbe potuto ben affermare, senza colpo ferire, che quella di Raphael era una vera è propria ossessione e qualcosa gli diceva, chissà perché, che se l'avesse incontrato, se si fossero per puro caso rivisti, avrebbe avuto modo di considerare come quella ossessione fosse ancora fossilizzata nella mente del povero Raphael, e come questa fissazione l'avesse lasciato a digiuno sulle trasformazioni che il concetto di lotta di classe, l'idea di essere di destra o di sinistra e non solo il modo di fare politica, quanto il significato semantico stesso della parola politica avessero subito profondi cambiamenti negli ultimi quaranta anni. Certo anche Alex, se avesse votato, all'epoca non aveva ancora raggiunto l'età dettata dalla legge affinché potesse esprimersi con il voto, avrebbe dato la preferenza all'ormai scomparso PCI, seguendo e rispettando in questo modo la tradizione proletaria che veniva dal lato paterno della famiglia, bisnonno compreso. 

Il nonno paterno, invece, rappresentò una pausa generazionale sia per l'interesse verso la politica e la lotta di classe e sia verso l'istituzione della famiglia. La sua principale attività consisteva nel buttarsi alle spalle i sensi di colpa, caso mai ne avesse avuti, per aver abbandonato moglie e figli in tenera età e del suo rincorrere donne da portare a letto. Quindi, Raphael ed Alex, condividevano la medesima ideologia politica, ciò che invece li allontanava era il diverso approccio che i due compagni riservavano alla questione della lotta di classe. Raphael ne faceva quasi una questione di stato, anzi per lui era una questione di stato, la Russia era la Grande Madre Russa (a lettera maiuscola così come l'avrebbe scritto lui), Lenin era il grande Lenin, e seguendo personalissimi quanto discutibili costrutti mentali sulla relazione tra progresso sociale, il comunismo e la felicità degli individui, senza dimenticare, chiaramente, di sostare nei pressi di Marx, giungeva alla lontana Cina per elogiare un altro grande storico rosso personaggio: Mao Tze Tung. “Qui”, in Cina, di fronte al grande Mao, il borioso Raphael, affermava “si ferma l'orologio”. La sua abitudine di disegnare simboli di falce e martello su qualsiasi materiale in grado di farsi scalfire era oltremodo invasiva, addirittura virale. I banchi e le sedie della scuola che ebbero la sfortuna di offrirgli un appoggio erano rimasti indelebilmente offesi dal suo desiderio di diffondere i simboli della lotta di classe. Alex invece, essendo figlio di operaio semplice consumato dalla catena di montaggio della FIAT, aveva un atteggiamento più proletario, ne sapeva qualcosa di più del padre, ma giusto un po', la differenza, forse, stava, nel fatto che esprimeva in lingua italiana più che nel dialetto del sud, gli stessi concetti paterni, riguardo alla lotta tra sindacati e padrone. 

Comunque Raphael si è sempre difeso, rispetto alle meritate insufficienze che portava a casa in fisica, geometria e a volte anche in matematica, mettendo avanti che gli interessavano, soprattutto, le materie letterarie, per quelle tecniche ci sarebbe stato tempo opportuno per imparare. Questa efferata modalità di apprendimento era appoggiata anche dalla prof di italiano. Alex la teneva in grande stima, alla pari del professore e quindi, tale comportamento, non comprendendone la natura, gli suscitava forte meraviglia, non capiva come si potesse sostenere l'astensione, o quanto meno, la sussidiarietà delle materie tecniche rispetto a quelle letterarie in un istituto dove l'obiettivo era il conseguimento di una maturità nella scienza della tecnologia dell'informazione e, a maggior ragione, non capiva come proprio la professoressa di italiano potesse esserne complice, lei che teneva così tanto al futuro e alla preparazione di ogni suo studente. Infatti, si rivolgeva alla classe con questo mantra: “Desidero fermamente che quando uscirete di qui e vi presenterete ad un colloquio nessuno, dico nessuno, dovrà discriminarvi per il fatto che proveniate da un istituto tecnico, anzi il linguaggio che userete per presentarvi nelle prove sia orali che scritte, sarà il segnale primo della vostra ottima cultura generale”. Senza nulla togliere all'importanza della letteratura, della storia e della logica, l'apprendimento delle materie tecniche era sicuramente il capitolo primo di ogni bravo studente, almeno di quella scuola.

martedì 27 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo primo


Che significa “... una relazione seria”? Con questa domanda Alex formulò il primo pensiero di quel lunedì che a vedere dalla luce che filtrava dalla finestra si preannunciava sereno e giustamente caldo. Erano gli ultimi giorni di agosto e probabilmente sarebbero stati anche quelli che avrebbero definitivamente conclamata la fine di un'estate manifestatasi piovosa, fredda e inutile. Quel pensiero si collegava a uno dei tanti che l'avevano accompagnato, la sera prima, nel suo scivolare piano piano nel mondo dei sogni e come percorrendone un lungo filo, sembrava che il sonno non avesse interrotto il ruminare della mente sul concetto di “relazione seria”. Poco prima di abbandonare, ma solo per quella giornata, il social network con cui intratteneva le sue relazioni virtuali, un messaggio pubblicato da un utente, l'aveva infastidito, sentiva una leggera stizza verso quelle quattro parole. Un fastidio che giunse a manifestarsi addirittura nel corpo, proprio sotto lo sterno, fino a fargli sentire un senso di vomito. Il rifiuto verso quel concetto era talmente forte che emergeva fino a raggiungere la dimensione della fisicità. Il messaggio era stato pubblicato, da una donna, sulla bacheca di un gruppo dall'eloquente nome di “AAA Amore cercasi” dove l'oggetto del desiderio dei membri era più che inequivocabile. Il messaggio diceva “Cerco una relazione seria”. Quattro parole.

“Ma io voglio scherzare, ridere, giocare, divertirmi, che me ne faccio di una relazione seria?” pensò Alex facendo svolazzare con un rapido gesto le lenzuola e mettendosi a sedere sulla sponda destra del letto. Sentì il freddo del pavimento sotto la pianta dei piedi e passandosi distrattamente la mano dietro la nuca, come a riordinarsi le idee e prepararsi alla giornata, diede uno sguardo alla finestra cercando di immaginare come sarebbe stato il tempo e controllò l'orario sulla radiosveglia. “Come mai non aveva suonato?” certo, intuì Alex, “sono sicuro che non sono ancora le sette”. Guardò meglio la radiosveglia, mancava ancora un minuto alle sette, l'ora a cui l'aveva impostata la sera prima, e Alex aveva anticipato la radiosveglia, tanto per cambiare.

Si avviò in bagno e aprì i rubinetti così che l'acqua scrosciasse forte. Cercava di avviarsi ad un ritmo fisico e mentale che fosse in linea alla giornata che lo attendeva, la sua agenda marcava una giornata fitta di impegni. Il rumore dell'acqua gli sarebbe servito a riprendere vigore e avrebbe contribuito al suo risveglio ancor prima di affondare il viso nel palmo delle mani ricolme di fresca acqua. Appoggiò le mani al lavandino e porgendo il viso allo specchio iniziò a farsi piccole smorfie. Arricciò il naso, tirò fuori la lingua e poi alzò il mento un po' a destra, di nuovo allo stesso modo verso sinistra. Sembrava tutto a posto, nessuna ruga nuova in vista. Ci si poteva svegliare del tutto e avviarsi di giusto umore verso una buona giornata. Era pur sempre lunedì.

Aveva ancora nella mente il sogno di quella notte, probabilmente era l'ultimo, quello che più di altri galleggia ancora sulla superficie dell'inconscio prima di perdersi definitivamente nelle estreme pieghe dell'oblio e che riusciamo a trattenere solo con un volontario intento teso a fotografarlo nella memoria. I temi di quel sogno si collegavano, seguendo una bizzarra quanto alchemica scia, a quel concetto di “relazione seria”. A dire il vero, la sua mente ancora rimuginava lentamente ma incessantemente su quel sogno, come le pale di un mulino a vento, che per quanto possano girare lente, ad ogni avvicinarsi al suolo producono quel movimento d'aria udibile anche da grande distanza: PLUFF, PLUFF, pluff. Oramai quella situazione aveva era divenuta una farsa: “... relazione seria cercasi ...”.
Il tema centrale di quel sogno era il suo professore di fisica, ma non uno a caso, proprio quello del college, quello stranissimo e inconfondibile personaggio che si aggirava nei corridoi e tra le classi della scuola dove Alex aveva conseguito la maturità. Proprio lui, in persona, quella notte, gli si presentò in sogno. Nella realtà, come nella dimensione onirica, ma qui in maniera molto più accentuata, il professore si distingueva per il suo humour un po' all'inglese, distaccato, frutto però di un'intelligenza a dir poco proverbiale. Era solito prendersi gioco delle regole e delle formalità che regnavano nell'ambiente accademico. Specie nella maggior parte delle situazioni egli se ne scherniva con un suo tipico fare saceto che indispettiva i colleghi. Insomma là dove ci si aspettava che il professore si comportasse da adulto saggio ed educato egli, invece, in ottemperanza ad una morale tutta sua che abbatteva qualsiasi norma che si dovesse rispettare per il semplice fatto che fosse una norma, metteva in campo le sue scherzose battute, dimostrando quanto si potesse, invece, fare di più per gli studenti, per la scuola, facendo a meno di rispettare inutili quanto antiquate condotte scolastiche dettate da “ineccepibili”, così amava definirli il professore, codici interni. In effetti le sue battute e il suo modo di relazionarsi in ciò che venivano banalmente definite “cose serie” dimostravano la volontà di mettere a nudo verità importanti e di voler destrutturare quei schemi votati al fallimento di cui era piena la cosiddetta “politically correct” scolastica.


Nel sogno il professore l'aveva invitato a salire con lui sul palco del congresso dove egli avrebbe tenuto una importante conferenza, proprio nell'aula magna dell'università. Stranamente Alex aveva appena rinunciato a partecipare a quel congresso, e adesso, invece, ne riceveva l'invito da una personalità influente, importante, qual'era quella del professore. Sarebbe stato sufficiente prenotare il biglietto, la poltrona, e invece aveva deciso di starsene lontano. Addirittura si era proposto, come a volersene sottrarre, di andare a parcheggiare l'auto di un amico, che aveva delle difficoltà familiari per recarsi al congresso. Alex nonostante rinunciasse alla partecipazione di un evento importante si prestava ad aiutare un amico a parteciparvi, che poi tanto amico, nella vita reale non lo era mai stato. Comunque nel sogno, appena gli eventi iniziano ad accavallarsi, Alex dimenticò di rendere il servigio del parcheggio al suo amico. Qualcosa lo distrasse. Una gabbia con dei pappagallini apparve davanti a suoi piedi, avrebbero dovuto essere due, soltanto due pappagalli, come nella gabbia sul terrazzo di casa sua, invece ce ne erano quattro e in più, apparivano più grandi, come cresciuti. Mentre si discuteva come trovare una soluzione al parcheggio della macchina dell'amico, le parole si accavallarono allo stupore di veder raddoppiato in numero degli uccellini e ci fu un attimo di confusione, in quell'istante appare sulla scena un'altra persona.


lunedì 18 maggio 2015

Tesi Aspic 2015 - La Diarioterapia: Un viaggio alla scoperta del Sé.



Sarò con te. Sarò con te con il mio interesse,
la mia noia, la mia pazienza, la mia rabbia, la mia disponibilità.
Sarò con te […] ma non ti posso aiutare.
Sarò con te.
Tu farai quello quello che riterrai necessario.

Fritz Perls

Indice


Un Viaggio Alla Scoperta Del Sé.



                        Introduzione


Parte Teorica

                        Il Counseling e il Sé.

                        Teoria della Diarioterapia



Parte Pratica

                        Diarioterapia: La mia esperienza
   
                        Conclusioni

                        Bibliografia


                        Home



Introduzione alla Diarioterapia


Introduzione.

Il titolo della tesi per il conseguimento del Master in Counseling è "La diarioterapia: un viaggio alla scoperta del Sé”.
Fin dal primo incontro con la mia tutor, il counselor che avrebbe supervisionato la tesi, fu chiaro che le carte per esplorare questo potente mezzo di auto-conoscenza, la diarioterapia, le avevo tutte. L'aver pubblicato un libro con forti spunti autobiografici, mi ha permesso di esperire sulla mia pelle quanto può far bene sedersi e scrivere sulla propria vita, narrare le esperienze che ci hanno segnato o che ci stanno segnando. Scrivere è come seguire un fiume che scorre, tanto è ricco il flusso dei pensieri che si affacciano nella nostra mente quando, finalmente, perché non è un esercizio poi così facile e ne tanto meno spontaneo, quando finalmente ci decidiamo a raccontarci. Raccontarsi nella diarioterapia è come aprire uno scrigno su cui il tempo ha posato la sua polvere e lasciato segni profondi. A pensarci bene quanto possono essere preziose le nostre memorie? Quanta importanza diamo alle memorie che come foto riempiono l'album della nostra vita? E' una considerazione, anche questa, non sempre poi tanto ovvia. E' una considerazione che non a tutti viene in mente. Anche questo, in un certo qual modo, appartiene al mondo dell'intuizione, quell'intuizione che ha accompagnato la trama della mia vita e che ho raccontato, rispettando la privacy dei miei cari, nel mio libro dal titolo, per l'appunto, L'Intuizione.
Sedersi e scrivere, quindi, è un momento della memoria, è afferrare il coraggio a due mani e decidersi di aprire lo scrigno che conserva ricordi, immagini, nostalgie, gioie e dolori. A volte, come è capitato a me, il coraggio viene a mancare, il respiro viene trattenuto. Legati gli uni agli altri, come i grani del rosario, i ricordi rimossi possono venire a galla nel viaggio della diarioterapia e spesso le parole per riportarle sul foglio bianco ci sfuggono, aleggiano nell'aria. Ci domandiamo se vale la pena raccontare anche quel particolare all'apparenza insulso, importante solo per noi, attori protagonisti di quel momento, quell'emozione, quella che sentimmo allora, riuscirà a ri-vivere nelle parole?
Con queste prime considerazioni mi avvio a compilare la tesi finale per il conseguimento del Master in Counseling il cui argomento è la diarioterapia.
Un'altra considerazione riguardante questa tesi e il mio primo libro è che entrambi questi due momenti molto formativi della mia vita, mi hanno dato modo di esprimere e divulgare agli altri, al mondo che mi circonda, quell'aspetto di me dedito all'introspezione che esercitavo attraverso la scrittura, in privato, quando sentivo il bisogno di raccogliermi e di accogliermi. I frutti di questi momenti sono tutti gelosamente riportati in tanti diari, quaderni, agende, che da anni e anni, praticamente dall'età di 11 anni, mi accompagnano nei miei traslochi e nel viaggio della mia vita, raccontandone i momenti più significativi, come i primi amori, le prime esperienze. Le gioie e i dolori, in egual misura, erano (e lo sono) per me fonte d'ispirazione. Mi viene da soffermarmi, oggi come oggi, che mai, proprio mai, ho sentito il bisogno di rileggermi, di reincontrarmi nei miei scritti. Qualche volta, è vero, ne ho preso qualcuno per mostrarmi ai miei figli, e nel leggere loro qualche paginetta, mi sono fatto scoprire nella mia adolescenza, e scendendo dal piedistallo del genitore da cui, a volte, ci conviene dominare la scena familiare, mi sono avvicinato alla loro adolescenza, alla loro giovinezza.

Mentre raccontavo alcuni aspetti della mia gioventù, leggendo dai miei diari, sentivo che i miei figli si interessavano a me, alla mia vita, in un modo nuovo, percepivano che anche io, tanto tempo fa, ero stato come loro lo sono adesso. Anche quella circostanza è stata per me un momento importante per essere vero, non solo come papà, per essere vero come persona. Dei miei genitori, invece, non so molto. Il più delle storie che li riguardano, del loro passato, l'ho appreso per via terze. Non hanno mai amato raccontarsi, il loro censurarsi mi ha spinto a riflettere che per loro, per i miei genitori, ricordare equivarrebbe a smuovere gestalt dolorose e mai chiuse. Meglio tacere e dimenticare. Il mio libro, sotto questo aspetto, invece, riporta alla luce quelle verità mai pronunciate, soprattutto riporta alla luce quei segreti che incatenano le famiglie e il cui potere sta proprio nel fatto di essere dei segreti. Svelandoli alla calda e solare luce del giorno, i segreti escono dal buio doloroso della notte dell'anima, e i segreti non sono più segreti, le persone non sono più incatenate le une alle altre, padri con figli, fratelli con sorelle. Il mio libro è stato un atto di coraggio, soprattutto nello svelare ciò che fino ad allora era segreto e potente. La misura era colma quando iniziai a scriverlo.



Il Counseling e il Sé: I principi della filosofia umanistica 1/3


I principi della filosofia umanistica.

Mi sembra doveroso, a questo punto, considerato il titolo della tesi e il contesto didattico in cui si dibatte, descrivere le dinamiche che legano il counseling, il Sé e la diarioterapia.
Il counseling è un “tentativo”, molto ben riuscito, a dire il vero, uno dei più potenti, di portare benessere nella vita delle persone. Tutte le scienze, o pseudo tali, riguardanti la natura dell'essere, e che si dedicano ad una sfera dell'essere umano, come la medicina, la psicologia, l'alimentazione, lo sport, sono rivolte alla produzione di “benessere”. Il counseling stesso è inserito in un contesto di salutogenesi. Ogni disciplina ha sviluppato delle peculiarità e prodotto benefici importanti nella nostra esistenza; la stessa religione, in un certo qual modo, cerca di portare beneficio alla nostra dimensione spirituale, anche se, a mio avviso, i confini tra religione e spiritualità si vanno via via assottigliando. La spiritualità sta invadendo piano piano aspetti sempre più importanti della vita delle persone, e la religione, con le sue regole, con i suoi dogmi, sembra stia perdendo terreno. Il sistema della liturgia e il complesso delle assemblee gerarchiche producono sempre meno benefici nella sfera spirituale (e psicologica) degli individui, cedendo così il passo a sistemi di pensiero più vicini ai bisogni delle persone e per questo sicuramente più funzionali.
In ambito psicologico, gli effetti derivanti dallo sviluppo della psicanalisi, nata con Freud alla fine del XIX secolo, ha portato sempre più persone a cercare di “capire” le fonti del loro malessere, spingendole ad avventurarsi nei meandri delle loro menti per carpirne le cause. Fin dall'inizio la psicoanalisi era rivolta esclusivamente ai malesseri del mondo psichico; le attenzioni di Freud, infatti, erano dedite a “risolvere” quelle che all'epoca la medicina considerava malattie della mente (del cervello, dell'encefalo) e nei cui riguardi (la medicina) nutriva un forte senso d'impotenza. Freud si laureò in medicina nel 1881 e già i suoi interessi per la teoria darwiniana, uniti al lavoro da ricercatore presso il laboratorio di zoologia di Carl Claus, denotavano uno spirito affamato di sapere, di conoscenza, che unito ad una nota ambizione di fama immediata, lo portavano a spingersi sempre un po' più in la rispetto ai suoi colleghi. Se così non fosse stato non staremmo oggi a parlare di lui, a torto e a ragione, (come sempre si fa quando si discute di menti eccelsi) come del padre fondatore della psicanalisi moderna. L'incipt per avvicinarsi alla mente e ai misteri che conteneva molto probabilmente lo ricevette durante il lavoro svolto all'Ospedale Generale di Vienna mentre si occupava di pazienti affetti da problemi neurologici. Sicuramente la sua amicizia con Breuer, eminente fisiologo che gli aveva a lungo fornito aiuto psicologico (oltre a sostenerlo economicamente nei momenti di difficoltà) è da ritenersi fondamentale, nella definizione di quel cammino che lo porterà poi ad essere il Freud psicologo conosciuto anche dall'uomo della strada. Breur, all'epoca, aveva in cura una paziente, la famosa Anna O., che fu curata con il metodo dell'ipnosi e che Freud apprende e inizia a utilizzare sistematicamente nella sua professione, portandolo a pubblicare, nel 1895, Studi sul'isteria. L'aver concettualizzato le libere associazioni in una vera e propria tecnica di autoanalisi, gli permise di avvicinarsi al tesoro nascosto dei pazienti nevrotici (temine sconosciuto all'epoca). Essi con i loro problemi, le loro difficoltà a vivere una vita “normale”, con la loro insoddisfazione verso se stessi e verso la vita, gli offrirono la visione che molti aspetti psichici dei suoi pazienti, erano originati da una sessualità repressa. La strada della psicanalisi moderna era ormai segnata. Con la definizione del complesso di Edipo la fama di Freud varcò i confini del sistema psichiatrico e a tutt'oggi il modello del conflitto narrato da Sofocle, ripreso da Freud per spiegare molti dei conflitti di cui soffrono i bambini, gira indisturbato tra le varie scuole e correnti di psicanalisi sparse per il pianeta.
Da Freud al Counseling il cammino della psicanalisi è stato lungo e articolato. La maggior parte delle menti che hanno contribuito alla crescita del pensiero della salutogenesi, di cui il Counseling rappresenta in campo sociale, quasi certamente, l'espressione più alta al momento, erano dediti a sviluppare più di una disciplina. Le loro conoscenze, spesso, hanno spaziato dalla medicina alla filosofia, attingendo anche (e soprattutto) a culture diverse, da quelle tipicamente orientali orientate al concetto di anima e di una concezione spirituale dell'esistenza (il Buddhismo, i Veda e altre) a quelle nettamente occidentali e materialistiche del vecchio e del nuovo continente. La particolarità che fa del Counseling uno dei mezzi più moderni per avvicinare le persone al concetto di salutogenesi (normalmente definito benessere) non nasce, però, insieme alla psicoanalisi di Freud. Il concetto del termine paziente (generalmente usato in ambito medico, psicoanalisi compreso) è stato pienamente, definitivamente e in una visione a 360° nel sistema di conoscenza che sostiene il counseling, sostituito dal termine cliente. Il concetto della differenziazione e dell'adozione di tale termine e del corrispondente significato (chiaramente) sono da attribuirsi al diverso modello di approccio alla malattia, al disagio, e alla sofferenza in genere. Tale modello fonda le sue radici in una cultura rivolta ai bisogni degli individui, una cultura basata sulla logica che la scienza (la conoscenza) “deve” essere “necessariamente” utile alla felicità delle persone ed essere essa stessa (la scienza) generatrice di condizioni sociali, ambientali e psicologiche, efficaci al benessere degli individui. Questa corrente di pensiero sarà la base di quella che prenderà, nel XX secolo, il nome di psicologia umanistica-esistenziale.
Tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII il susseguirsi di eventi e di scoperte importanti in moltissime branchie del sapere quali la fisica, la religione, l'economia, la geografia, la politica e tante altre ancora, porta a definire quel periodo storico con il termine Illuminismo. Alla fine del XVII secolo Newton (1642-1727) stabilì la formula matematica della forza di gravità, confermando e continuando il lavoro di Galileo, nella costruzione del modello cosiddetto empiristico o sperimentale. Lavoisier (1743-1794), chimico, filosofo, naturalista, finanziere, formula la legge della conservazione delle masse mettendo ordine nella visione della natura, estraniandosi da concetti cabalistici ed esoterici che dominavano, a quel momento, il panorama della scienza. Il pensiero di Leibniz (1614-1716), filosofo e matematico, ma anche esperto di politica, filologia, storia, con una laurea in diritto, rivoluziona completamente lo “scopo” della filosofia con il suo “Nuovi Saggi sull'intelletto umano”, scritto che influenzerà fortemente pensatori del calibro di Wolff e Kant.
Con Leibniz ha inizio la corrente filosofica dell'umanesimo: la filosofia umanistica. Egli pone in evidenza l'attività e l'iniziativa della persona e mette in risalto le specificità e l'originalità di ogni individuo. Questa filosofia, pari pari, come la espresse il tedesco Leibniz, sono oggi, dopo 3 secoli, la struttura portante del counseling e lo strumento di trasformazione più potente da offrire a coloro che sono alla ricerca di un sistema, un mezzo, per migliorare la propria vita. Come ben si evince, il counseling non si rivolge alla cura di malattie psichiche o altre forme di disagi mentali, che restano sempre e comunque di competenza della psicologia, della psicoterapia, della psichiatria e altre discipline affini, ma si rivolge a chi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, decide responsabilmente di migliorare il proprio livello di benessere.
Mi sorge spontaneo, a questo punto, tirare in ballo Franz Brentano (1838-1917), filosofo tedesco che tra i primi si interessò di psicologia. Egli incominciò a spostare la sua attenzione dai contenuti della mente, spina nel fianco dei pensatori dell'epoca, agli atti e ai processi mentali. Sicuramente molto influenzato dal pensiero aristotelico, al quale sono dedicati molti dei suoi scritti (Sui molti significati dell'esistente in Aristotele – 1862 / La psicologia di Aristotele – 1867 / Il creazionismo di Aristotele – 1882 / Aristotele e la sua visione del mondo – 1911 / La dottrina di Aristotele sull'origine dello spirito umano - 1911) arrivò a determinare una forma di psicologia empiristica che lo portò a formulare il pensiero che si rivelò poi il fulcro delle sue scoperte: l'intenzionalità. Brentano affermava che alla base di ogni fenomeno psichico c'è l'i., e suddivide in tre classi tali fenomeni: rappresentazione, giudizio e sentimento. La sua teoria dell'i. è molto importante poiché troverà grande sviluppo nella filosofia della mente e nella scienza cognitiva del novecento, fino ad arrivare all'inizio degli anni sessanta, quando si cominciò a parlare di intelligenza artificiale.
Anche se distanti quasi due secoli, Leibniz e Brentano, esiste tra loro un filo conduttore, il primo valorizza l'essere umano, nei suoi bisogni e nella sua originalità, e il secondo offre una teoria specifica dei processi psichici considerandoli frutti di un'intentio, sottintendendo, a questo punto, una forza di volontà alla base di ogni azione. Brentano, con la sua teoria sull'intenzionalità, sembra dare un motivo, uno spunto al pensiero di Leibniz, estrapolandolo dai vapori di una semplice teoria (specificità e originalità) Brentano offre all'uomo leibniziano anche una volontà.
Quando parliamo di counseling, parliamo di benessere psicologico, sicuramente, ma non ci stiamo occupando di una patologia della quale la persona possa essere afflitta, e per la quale si necessitano delle “cure” appropriata in contesti medici e clinici ben definiti, stiamo riferendoci a persone che intendono migliorare “se stessi” in un qualsiasi ambito esistenziale: l'amore, il lavoro, il denaro, la famiglia, la salute. Ecco, questo è il counseling: un mezzo per migliorare se stessi e le proprie prestazioni in un certo aspetto della propria vita. Questo è anche uno dei motivi per cui chi si rivolge ad un counselor è un potenziale cliente che richiede un servizio, una consulenza specifica per un problema specifico e non un paziente da curare.
Le persone quindi decidono di stare meglio. Anche Bergson (1859-1941), matematico, uomo di lettere, filosofo, sosteneva la medesima teoria, e su tale teoria formulò il seguente pensiero: esiste uno spirito vitale che anima l'essere umano. Il pensiero di Bergson fu influenzato dal positivismo evoluzionistico di Spencer così come dallo spiritualismo di Boutroux. Il pragmatismo americano subì forti influenze dagli studi di Bergson e forse questa frase (appartenente a Bergson) dice molto rispetto all'idea che noi europei abbiamo di questa nazione che vive al di là dell'atlantico: Compito dell'uomo è garantite il continuo crescere dello slancio vitale, impedendo che si arresti di fronte alle resistenza della materia. In primis la sua attenzione fu tutta rivolta allo studio della coscienza (l'Essai sur les données immédiates de la conscience – 1889) ma questo non gli forniva soddisfazione riguardo alla comprensione dei molteplici aspetti della realtà. Solo rivolgendosi all'universo, all'infinito, all'incommensurabile, riuscì a percepire che “qualcosa” anima la continua novità e la perenne conservazione del Tutto. Questo “qualcosa” sarebbe poi riconducibile all'uomo, come parte integrante di questo universo, dove si manifesta (nell'uomo) come Spirito Vitale.
E' interessante notare che è possibile tracciare un parallelo tra l'influenza del pensiero del filosofo Bergson sul pragmatismo americano e la considerazione che la nascita “sociale” del counseling avviene proprio negli states, all'inizio del '900. L'occasione della coniugazione del termine counseling avvenne pressapoco verso il 1920, anni in cui ci si si dovette occupare del reinserimento dei soldati che rientravano dalla prima Grande Guerra dal fronte europeo. A quell'epoca il primo apporto del counseling fu quello di reinserire, facilitare, riorganizzare la forza lavoro rappresentata da quei giovani e smarriti soldati, a cui la falce della guerra aveva risparmiato le speranze (e la vita). Possiamo dire che quei momenti furono caratterizzati da un impegno della società civile, quella parte già dedita all'assistenza sociale (infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, medici) nella presa di coscienza che una società che si cura dei propri figli se ne prende cura proprio nel momento del bisogno. Questo momento sociale (USA 1920) in cui appare forte l'attenzione e il fornire contesti di accoglienza a chi stava nel bisogno, mi trasmette una grande fiducia nel counseling e sento che le risorse (insite nel counseling) di trasformazione individuale sono applicabili anche, e soprattutto, a contesti collettivi.
Il pensiero corrente, secondo cui in un processo di counseling è soprattutto la relazione, che produce effetti catartici - una relazione chiaramente inserita in un setting chiaro (nel contratto) e pulita (non inquinata da fattori che possono alterare una comunicazione efficace) - nasce probabilmente dagli studi di Martin Buber (1878-1965). Una relazione inserita in un contesto IO-TU (Cliente-Counselor in un setting di counseling), così come ne parla il filosofo ebreo tedesco Buber nella sua raccolta di aforismi L'io e il tu, permette di accedere (per il cliente) a livelli di auto-comprensione che raramente (se non addirittura difficilmente) sono possibili in altri contesti. Ma come è possibile tale alchimia? Che cosa rende il counseling (in un contesto sano, efficace e scevro da fattori patologici) così potente? Buber, il cui processo di evoluzione era stato influenzato da Pascal, Nietzsche e Kierkegaard, diceva:
Quando incontro un uomo offrendogli l’io della coppia io-tu, egli non sarà allora una cosa tra le cose, non sarà circoscritto nello spazio e nel tempo, non sarà possibile descriverlo. Egli è come una melodia, che non è un insieme di suoni, come una statua, che non è un insieme di linee: occorre andare oltre per arrivare al Tu, occorre strappare e lacerare per passare dalla molteplicità all’unità. Quando considero separatamente il colore dei suoi capelli, la bontà del suo animo, nuovamente cado nel mondo dell’esso. Per entrare nel mondo del tu occorre rovesciare il rapporto dello spazio e del tempo, allora non sarà l’uomo nel tempo e nello spazio, ma lo spazio e il tempo nell’uomo. Quando lo colloco diventa nuovamente esso. Stare nella relazione vuol dire non esperire l’altro”.


Buber promuovendo la relazione IO-TU, in un contesto dove la dialogica esprime accoglienza e comprensione, materializza l'evoluzione della comunicazione intesa come flusso tra soggetto-oggetto trasmigrandola in una metacomunicazione soggetto-soggetto. Questo processo, la metacomunicazione sui significati di ciò che si comunica, è l'energia che alimenta la crescita del potenziale umano. Essere counselor significa, a questo livello, sentire il tempo e lo spazio che si muove nel cliente. Sentire lo spazio e il tempo nel cliente è il processo empatico che permette il fluire dello spirito vitale di cui parlava Bergson, dell'intenzionalità del cliente verso i suoi processi psichici di Brentano e la specificità e l'originalità che Leibniz attribuiva ad ogni essere vivente. D'altronde un impegno in cui Buber profuse molte delle sue energie e in cui, sicuramente, era coinvolto perché era di razza ebraica, perché aveva fede, perché credeva nel dialogo, perché propose un sionismo come “educazione”, fu quello di credere, di ragionare, di progettare e di lavorare per un futuro condivisibile tra ebrei e palestinesi. Egli credeva talmente nell'uomo e nelle potenzialità di superare conflitti che la sua idea politica prevedeva la costituzione di una comunità ebraica capace di scegliere come norma il “dialogo” per trasformare, insieme agli arabi (palestinesi), la madrepatria in una repubblica comune, per entrambi i popoli. 



Il Counseling e il Sé: La corrente esistenzialista 2/3


La corrente esistenzialista.

A ben vedere, questi “pensatori”, non erano poi tanto scollati dalla realtà, i loro studi e le loro riflessioni, proprio come una vera scoperta scientifica, si riversavano nella società, nella quotidianità degli individui, offrendo, con il loro pensiero, alternative di nuove e più proficue possibilità di sviluppo, agevolando i popoli a trovare nuove strade verso il benessere, non solo psicologico, ma anche sociale.
L'esistenzialismo che succede alla filosofia umanistica, senza chiaramente prenderne il posto, risulta essere un giusto anello di congiunzione e la naturale evoluzione del pensiero filosofico, che come si può ben immaginare, non è possibile scindere dal pensiero moderno della psicanalisi. Possiamo affermare, sembra ombra di dubbio, che la psicanalisi è figlia di quella zona franca della filosofia che si occupò (e si occupa) del fenomeno della mente, dei processi psichici e di tutto ciò che è riconducibile ad un epifenomeno. Per questo, tra i vari momenti storici fin qui dibattuti, tralasciando gli sviluppi dell'umanesimo che avevano preceduto Leibniz, e a cui erano giunti grandi come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, e prima ancora Nicola Cusano e Copernico, l'esistenzialismo, nello sviluppo del pensiero psicologico, produce un maggiore ancoraggio alle tematiche che la psicologia e la psicanalisi moderna si trovano ad affrontare, alle soglie del XIX secolo, in Europa. L'esistenzialismo sottolinea, come in un immaginario caleidoscopio capace di mettere a fuoco tutte le esperienze che la conoscenza aveva prodotto fino a quel momento, la responsabilità individuale, la libertà di scelta e l'autenticità dell'esistenza. Il periodo che più risente dell'influenza di tale corrente filosofica è la cultura, la scienza e la società occidentale che vive a cavallo tra l'800 e il '900.
La parola esistere ha radici latine, existere, che significa “venire fuori” e il significato era accentrato sulla persona che esiste, esaltandone l'essere umano nell'atto di emergere. L'esistenzialismo si centra quindi sul processo del divenire dell'uomo. Il counseling si centra sul processo di trasformazione degli individui e la filosofia su cui si dibatte, in queste pagine, non è un vuoto a perdere, ma ha contribuito, come insisto a dimostrare passo passo, alla generazione del pensiero che alimenta il counseling inteso come risorsa per “aiutare” gli individui a realizzarsi nella loro vita. Pascal (1623-1662), considerato precursore remotissimo dell'esistenzialismo, mentre intorno a lui ci si occupava di questioni gnoseologiche, egli era tutto centrato su argomenti che riguardavano l'esistenza dell'uomo. Per questo Pascal rifiuta il rigoroso razionalismo cartesiano mettendo da parte la questione se Dio esiste o meno. Il punto, per Pascal, è il seguente: quale risvolto si verifica sulla vita dell'uomo il credere o il non credere in Dio? Questa domanda dimostra palesemente l'interesse di Pascal verso il comportamento umano, verso il flusso dei suoi pensieri e delle sue azioni. Anche sotto questo aspetto, il pensiero del filosofo Pascal, contiene una razionalità e un pragmatismo che addirittura supera il pensiero meccanicistico che imperava a quel tempo. Non fu da meno, infatti, quando, mettendo in pratica le sue conoscenze di matematica e di fisica, contemporaneamente ad Hobbes, inventa il primo calcolatore. L'occuparsi di come e su cosa avrebbe influito la fede, la religione, e guardando un po' più in là, quanto la visione che l'uomo detiene del suo mondo influisce sulla morale, sull'etica e sul comportamento è chiaramente un'attenzione rivolta al processo di formazione delle idee e, di conseguenza, alla sfera psicologica dell'uomo. Kierkgaard (1813-1855), parafrasando una ben consumata frase, passa dal pensiero (cosa succede all'uomo se crede o non crede in dio - Pascal) all'azione; egli affermava: la verità esiste per l'individuo, solo in quanto egli la traduce in azione. Così dicendo affermava l'importanza del valore dell'esperienza che un uomo fa dei fatti immutabili. Per K., l'esperienza non è un concetto astratto, ma un vissuto che poi ciascuno di noi integra nel proprio bagaglio personale, fatto di memorie, di concetti, di opinioni. Gli individui trascendono sempre il meccanismo (la dinamica dei fatti) secondo la loro personalità. La dimensione esistenziale dell’uomo è quella dell’aut-aut: siamo continuamente costretti a fare scelte, scelta come azione (per K.): scegliere la facoltà universitaria, medicina o lingue? ingegneria o giurisprudenza? e cosí via. Naturalmente la scelta di una possibilità implica che l’altra scelta è stata abbandonata: non è possibile scegliere contemporaneamente due possibilità. Il fatto apparentemente banale della scelta, inevitabile nella vita umana, per K. è generatore di angoscia. Per quale motivo? Perché ogni scelta, nonostante non ne siamo consapevoli, implica l’orizzonte della nostra finitezza, l’orizzonte della morte. Se avessimo una vita infinita, infatti, potremmo scegliere tutte le alternative, in successione una dopo l’altra: letterato, poi filosofo, poi giurista, poi medico, ecc., ma questo implicherebbe di avere davanti un tempo infinito; essendoci invece l’orizzonte della morte si è costretti a scegliere. L'essere condizionati a fare scelte, e inevitabilmente rinunce, è la filosofia esistenziale di K.: devo scegliere A e se ho scelto A devo aver rinunciato a B, se scelgo B devo rinunciare a C, e cosí via. Per tutta la vita siamo costretti a fare scelte, in quanto la dimensione esistenziale dell’uomo è quella della possibilità e della scelta. Il focus della teoria di K., che viene travasato nel pensiero del counseling, determinandone buona parte del “carattere” filosofico, è proprio l'aspetto esperienziale dell'esistenza a cui il pensatore dedica buona parte delle sue ricerche, così come la considerazione che le scelte (azioni) ci portano a compiere (esperire) altre scelte. Il counseling, integrando la teoria della conoscenza attraverso l'azione (consapevolezza del significato dell'esperienza) e concretizzandola in tecniche ad hoc (riformulazione rogersiana, gestalt, teoria dei giochi dell'analisi transazionale), ci porta a conoscere il mondo (interiore) facendo esperienza delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, così da condurci a prendere quelle decisioni che, secondo noi (libertà di scelta), ci aiuteranno a conoscerci meglio e a vivere meglio.
La frase famosa di J.P.Sartre (1905-1980): Non è tanto importante ciò che gli altri fanno di me, ma ciò che io faccio di ciò che gli altri fanno di me, sintetizza il pensiero esistenzialista in tema di scelta. L'esistenza, come per Kierkgaard, precede l'essenza. La teoria di Hegel, che poneva l'essenza come principio universale dell'esistenza, viene tenuto a bada anche da Sartre, che come riprendendo il filo del discorso di K. sostiene che la scelta è quindi inevitabile e persino scegliere di non scegliere è una scelta. Anche nel pensiero sartriano l'angoscia occupa un posto chiave: l'angoscia è riconoscere l'inevitabilità della scelta individuale (condanna della scelta). Il counseling, riprendendo l'essenza di questo filosofo, porta il cliente a differenziare ciò che gli accade (i fatti dell'esistenza che gli tocca vivere: amare, gioire, soffrire, subire, agire...) da ciò che questi fatti rappresentano per il suo mondo interiore. Nel counseling si invita a spostare l'attenzione dagli eventi a ciò che gli eventi suscitano in noi. Si intravede, in questo pensiero di Sartre, già un primo abbozzo di quel concetto che sarà alla base della Teoria della Gestalt e che va sotto il nome di figura-sfondo.
Secondo Heidegger (1889-1976) l'uomo è colui che si pone il problema del suo stesso esserci. H. riduce a due le situazioni in cui l'uomo decide di esserci: la situazione emotiva e la comprensione. La situazione emotiva a cui fa riferimento H. è la paura come derivato dell'inautenticità, anche se l'autenticità porta con sé l'angoscia della morte, è anche vero che questo è un modo autentico di essere nel mondo. La comprensione si allaccia alla caratteristica principale dell'esserci: l'autoprogettazione cosciente del proprio futuro. Il circolo del pensiero di H. si chiude sintetizzando che l'uomo può scegliere di realizzarsi nell'autenticità o perdersi nell'inautenticità. Anche qui un riferimento al counseling, per continuare ad essere in tema, mi spinge a dichiarare che l'essere autentico è una delle qualità che un counselor deve necessariamente possedere. Carl Rogers spingerà molto il suo pensiero su questa strada fino a formulare il trittico delle tre A (specificità per un counselor): Autenticità, Accoglienza e Accettazione.

Riepilogando, i concetti centrali della filosofia umanistica-esistenziale di cui abbiamo discorso fin qui sono i seguenti: conoscenza attraverso l'azione, la volontà, l'impegno e la decisione, l'individualismo. Su questi concetti nasce e si diffonde la psicologia umanistica-esistenziale.