venerdì 19 aprile 2019

Alchimia della Trasformazione

Introduzione.



Gli oggetti delle riflessioni, contenute nei paragrafi successivi, sono determinati momenti che riguardano la vita degli individui di tutti i giorni e che interessano in tutti i casi ogni persona, compreso me. A questi momenti, generalmente, non diamo l'importanza che meritano ma, se ci fermassimo un'istante a contemplarli ci renderemmo subito conto che, in verità, sono degni di tutta la nostra attenzione. Questi momenti speciali potrebbero rappresentare per noi le pietre dove poggiare i piedi per guadare il fiume della vita.
Sono state proprio queste riflessioni ad indurmi a scrivere questo libro e ad affrontare il misterioso cammino interiore in cui, prima o poi, la vita ci induce ad addentrarci. Questo cammino, lungi dall'essere una teoria su cosa dovrebbe essere la nostra vita e, parafrasando Adler, cosa dovrebbe significare per noi, inizia in un preciso istante della nostra vita e, a più riprese, come l'incalzare dell'onda verso l'oceano aperto, ci apre ad orizzonti di cui non immaginavamo minimamente l'esistenza. Senza intraprendere questo cammino di cui tratterò avanti, saremmo come naufragi ignavi sbattuti dall'esistenza sulla spiaggia di una anonima isola di questo mare-mondo.

I principi dell'iniziazione alla trasformazione interiore, che intendo qui trattare, lungi dall'essere concetti astratti o dogmi di una qualsivoglia filosofia esistenziale o religione o pseudo scienza, sono, essi stessi, il riflesso dei medesimi principi che attraversano l'universo e la materia/energia di cui è composto. Parole come relazione, punto di vista e qui ed ora ci raccontano di un modello realistico del mondo e delle leggi che lo governano e che danno forma a quell'ordine che ben conosciamo. Tali parole (relazione, punto di vista e qui ed ora) rappresentano le costanti delle equazioni che regolano il mondo visibile e tangibile, senza le quali la nostra esistenza piomberebbe nel caos più totale, poiché esse determinano la dimensione spazio/tempo che avvolge la nostra dimensione umana. Come in un gioco di specchi queste costanti danno modo alla materia e alla nostra esistenza di intrecciarsi l'uno all'altro fino a formare quasi un tutt'uno. A ben vedere che senso avrebbe un tramonto senza lo sguardo ammirato ed estasiato dell'uomo? E cosa se ne potrebbe dire di un'esistenza umana senza tramonti? Questo è il gioco degli specchi a cui mi riferivo poc'anzi. Più avanti approfondiremo singolarmente questi fattori.

Secondo un comune pensiero, abbastanza diffuso e che aleggia nella mente della maggior parte di noi, la filosofia, la spiritualità, il meditare profondamente su precisi argomenti, la ricerca di concetti che vadano oltre le opinioni personali e altre “amenità” del genere, non afferiscono per nulla alla vita di “tutti i giorni” e che queste “cose” non hanno una valenza pratica; quanto appena detto e talmente vero che il tempo impiegato a discutere su tali “cose” viene definito dai più tempo perso. La conoscenza, per farla breve, quella con la lettera maiuscola, viene considerata materia per pochi eletti, quali prelati del mondo religioso, guide spirituali, scienziati, maestri, santi, tutte figure il cui tempo scorre lento poiché non hanno molto da fare (ma questo, lo ripeto, è solo un pensiero comune). Pertanto, attraverso queste pagine, voglio portare all'attenzione del lettore alcune innocenti riflessioni che, spero e mi auguro, troverà interessanti, soprattutto per l'intrinseca semplicità di attuazione della quale ne prenderà personalmente coscienza non appena deciderà di metterle in pratica nella sua vita.

Ritornando alla vita di tutti i giorni di cui parlavo poc'anzi, concorderete con me che, molte, ma molte volte, siamo spinti a considerare, a valutare, ad interpretare ciò che ci accade con un preciso e tipico atteggiamento. Siamo portati, infatti, a pensare agli accadimenti che ci tocca vivere (incidenti, malattie, fallimenti, perdite) come frutto di situazioni “altre”, conseguenze di fatti estranei sui quali non abbiamo nessun potere. Ciò che ci accade, specie se quel che accade è fonte di dolore, viene considerata come una fatalità; tutto avviene per colpa di qualcosa “altro” che non dipende dalla nostra volontà. Raramente, invece, ci soffermiamo a considerare la nostra vita come il risultato finale di un processo del quale ne siamo pienamente responsabili, al cento per cento. Per dirla tutta non consideriamo quello che ci accade nella giusta visione. Le nuvole passano sopra le nostre teste e i tramonti si avvicendano alle albe, trascorriamo la maggior parte del nostro tempo a cercare di “capire”, “risolvere”, “aggiustare”, “sistemare”, “razionalizzare”, con opinioni e idee preconfezionate nella nostra imponente mente (il piccolo Io) e a scervellarci su quale comportamento adottare verso i cosiddetti “problemi”. Dopo aver tanto riflettuto per prendere una decisione, col senno del poi, ci domandiamo se quella presa fosse proprio quella giusta. A ben guardare, bisogna anche dire, inoltre, che gli accadimenti della vita sono il frutto di situazioni legate l'una all'altra, come spezzoni di fune annodate tra di loro; i nodi rappresentano i momenti cruciali della nostra vita e la corda, tra un nodo e l'altro, quegli intervalli trascorsi in tranquillità (relativa!).

Sicuramente, probabilisticamente parlando, molti di voi, come me, hanno già tentato di affrontare il “problema” di “come risolvere i problemi”. Certamente avete sviluppato un metodo, un sistema, e forse avete approfondito tale metodo documentandovi con libri, frequentando, giusto per dirne una, corsi di formazione di auto-conoscenza da cui trarre aiuto per superare gli ostacoli e migliorare la qualità della vostra vita. Questo aspetto dell'esistenza umana, cosiddetto soteriologico, relativo alla ricerca di trovare "certe" soluzioni, diviene sempre più complesso con l'avanzare degli anni e dei secoli. La civiltà attuale, infatti, offre molte più alternative e possibilità di quelle disponibili al tempo in cui hanno vissuto i nostri progenitori. Oggi abbiamo a disposizione una miriade di approcci al problema dei problemi che è sempre lo stesso: come migliorare la nostra vita. Ognuno sceglie una strada che più si confà alla propria psiche e al suo bagaglio culturale ed esperienziale. Molti, in questi casi, abbracciano una religione rivelatrice credendo e sperando di far emergere la loro spiritualità, questi, in tutti i casi, sono sempre meno dei tanti che entrano a far parte di una comunità religiosa per motivi di ordine pratico, come guarire da una malattia o altri problemi materiali. Altri, per migliorare la propria vita, si immergono nei tortuosi meandri della psiche, sperando di guarire traumi e ferite dell’inconscio, altri ancora si abbandonano al guru emergente dell’ultima moda, e ancora, c’è chi si rivolge allo studio e alla messa in pratica di antiche conoscenze come lo yoga o lo sciamanesimo. Ci sono poi antichi metodi che, anche se rivestiti e ri-condizionati in chiave moderna, non tramontano mai, sono i tarocchi, l’occultismo, lo spiritismo; questi sentieri dell'invisibile, tutt'altro che abbandonati, attraggono, ancora fortemente, le masse. Sarà forse il fascino del mistero, dell'inspiegabile e dell’inesplorabile che rende questi saperi così attraenti? Chissà!
Il mondo attuale, insomma, abbonda di soluzioni per tutto e per tutti, e come racconta un mio maestro spirituale, “va tutto bene in questo mondo perfetto”. Quindi, se mentre siamo alla ricerca di qualcosa o qualcuno che possa aiutarci, iniziamo a guardarci intorno, rivolgendo l'attenzione a cosa viene pubblicizzato dai media, troveremo facilmente la “soluzione” che ci piace. Attenzione, dico che ci piace, non ho detto che sia quella giusta e buona per noi, perché a volte, si sa, il sapore della medicina è sempre un po' amaro.

Vediamo come si può collegare quanto detto fin'ora con le Sacre Scritture. Voglio anticipare che la Sacra Bibbia è per me, come per molti studiosi, una raccolta di libri i cui racconti ci dischiudono a volte su eventi storici documentati e comprovati anche da altre fonti e altre volte su racconti fantastici (frutto della fantasia). Questi ultimi, ricchi di simboli archetipici e dove la metafora è il mezzo di comunicazione più colorito e più utilizzato per attrarre l'attenzione del lettore, non propongono di storicizzare ai posteri un evento ma trasmetterci una saggezza e una conoscenza che non intende, e non vuole, andare persa. E' un sapere che resiste alla sabbia del tempo e che, in tempi e modi diversi, secondo la natura dei secoli, ritorna dalla memoria (o dall'inconscio?) alla eterna presenza di noi umani. Quindi, ritornando ad uno dei racconti più belli e fantasiosi della Sacra Bibbia, ma anche più istruttivo, La Genesi, si racconta che il peccato primordiale di Adamo fu quello di aver mangiato il frutto dell’albero della Conoscenza. Frutto proibito, attenzione! Per molti studiosi, questo atto (il mangiare, nutrirsi) dell'Adamo (termine usato per indicare non un singolo individuo ma - probabilmente - la totalità di tutto il genere umano) è sintomatico della tendenza a ricercare attraverso i sensi e la ragione, l'essenza non solo del mondo della materia e quindi dell'intero universo, ma anche della propria esistenza. L'attitudine umana ad esplorare la psiche per mezzo delle scienze psicologiche o il mondo mistico attraverso le religioni, è segno evidente di una inconsapevole sapienza (come un sesto senso) per mezzo della quale egli sente, percepisce, di appartenere a qualcosa di più grande di quel che la sua mente voglia fargli credere. Sembra quasi che tale ricerca sia un movimento verso qualcosa che sappiamo di aver smarrito senza però averne la certezza, o quanto meno delle indicazioni, di che cosa abbiamo effettivamente perso, perché quel qual cosa è sparito dall'orizzonte esistenziale e soprattutto (domandone): quando è avvenuto tutto ciò? Come mai siamo immemori di questa perdita?


A questo punto (quando iniziamo a farci "certe" domande) risulta normale che la coscienza di molte persone, giunta ad un livello critico di crescita, ritenga quantomeno banale continuare a vivere un'esistenza scevra di domande e affogata, invece, in un mare di risposte scialbe e autoreferenziali. Queste risposte, alla stregua di un qualsiasi altro prodotto della civiltà dei consumi, vengono consumate dalle stesse domande ma non rispondono (è proprio il caso di dirlo) all'innata sete di conoscenza che ognuno porta con sé ancora prima di venire al mondo (in questo mondo). Giungere alla fase delle risposte, soprattutto se intendiamo per forza avere delle soluzioni, significa giungere alla fine del cammino, è come un cerchio che si chiude e con esso anche la nostre sete di conoscenza si estingue. Rimanere con domande aperte, invece, è una caratteristica di ogni cammino interiore e un modo per continuare a ricercare ed evolversi. Da qui (da queste domande aperte), ad iniziare la ricerca della propria pietra filosofale, il passo è breve. Moltissimi individui, che pure sentono questa spinta evolutiva della coscienza, non riescono a staccarsi dal materialismo dilagante che impera nella civiltà attuale, mitigando così buona parte dell'energia potenziale insita nel processo evolutivo (e in loro stessi) in modalità meno trascendentali. Volendo fare uso di una terminologia moderna e che fa tanto cult, dirò che a queste persone viene negato il salto quantico indispensabile per la realizzazione del proprio , per la connessione al Tutto e per divenire esseri risvegliati. Inutile dire che la fisica quantistica, come pure il tanto decantato cervello quantico, non hanno niente a che vedere con l'evoluzione spirituale della coscienza e che tutta la subcultura che ruota sui media riguardo al cammino interiore, in particolar modo di tutto ciò che si mette in connessione con la parola "quanto" è solo uno specchietto per le allodole e alla fin fine, solo un altro oggetto da consumare. I media, infatti, trattano di questo aspetto "quantico" della coscienza e dell'esperienza che i nostri sensi, mente compresa, (nella cultura yogica e nei Veda la mente era rappresentata anche come il sesto senso) fanno della realtà, come se fosse l'ultima frontiera a cui la scienza è approdata, dimenticando, invece, o facendo finta di dimenticare, che i principi del "quanto" risalgono all'inizio del 1900. E' in questo contesto socio-consumistico, chiaramente pseudo-evolutivo, che la mente inizia a vagare verso sistemi, metodologie e pratiche, a buon mercato e molto alla mano, rivolti al problem solving (termine moderno e psicologicamente meno devastante del vecchio e oramai in disuso dramma esistenziale). Ma quale sarebbe l'equazione da risolvere in questo problem solving? Semplice: + felicità, + successo, + ricchezza...+ + + . Accade sovente, però, che gli individui, pur applicando quel metodo tanto agognato e in cui hanno tanto investito, sia in termini di tempo che di denaro, per acquisirlo e padroneggiarlo, non raggiungono poi i risultati sperati (+ + +...); essi purtroppo, si troveranno costretti a considerare, con malincuore, di avere inutilmente sprecato energie preziose. In verità nulla viene sprecato, come infatti anche la fisica ci insegna, tutto, a ben vedere si trasforma e finisce poi per costituire, nella fattispecie, un deposito nella memoria, un ricordo, una nuova connessione neurologica, una modifica della struttura psichica, un nuovo modo di guardare a se stessi e ai propri bisogni, insomma un accrescimento dell'esperienza il quale ci potrà sempre tornare utile o quanto meno ci permetterà di comprendere, in futuro, cosa ci è necessario e cosa no. Questo processo affinerà in noi la capacità di discernere, e mano a mano che procediamo nel cammino interiore tale capacità si perfezionerà sempre più, tanto da poterla alla fine assurgere a livello di arte: l'arte del discernimento. Ecco, è su questa attività che bisognerà lavorare molto, lavorare sull'arte del discernimento fino a farlo divenire una competenza in cui eccellere; discorrerò di questo nei capitolo successivi: lavorare con i nostri pensieri in relazione alla realtà quotidiana fino a raggiungere una consapevolezza riguardo a ciò che si abbisogna e a ciò che non ci è utile, a partire dai pensieri che pensiamo. Bisogna apprendere come pensare piuttosto che farci pensare dai nostri stessi pensieri.


Un punto di partenza (riguardo a come pensare) è sicuramente quello di alzare il livello di attenzione verso la qualità della nostra vita, iniziando a ri-considerare il nostro personale livello di benessere in ogni contesto (nella salute, nello stare in società, nella qualità dei pensieri della nostra mente). Gli strumenti che useremo per migliorare la nostra vita sono quelli di cui tratterò più avanti, e sui quali ognuno di voi lettori dovrà o potrà fare profonde riflessioni, al fine di modellarli e calzarli, ognuno secondo la propria natura individuale. Quindi, per dirla incisivamente, in queste pagine non vi saranno illustrati metodi “ad hoc” per operare in un certo modo al fine di risolvere una questione quanto, piuttosto, vi saranno offerti degli spunti da cui partire per imparare a conoscersi meglio: poiché soltanto l'innesco di un processo di auto-conoscenza, vale a dire il famoso conosci te stesso, può a sua volta avviare un processo di trasformazione, di cambiamento, di miglioramento. La semplicità di questa ultima frase è lapalissiana, infatti: come è possibile mettere le mani su qualcosa per effettuare modifiche se di questo qualcosa non ne possediamo la conoscenza? Per questo ultimo fattore il processo del conosci te stesso è al contempo il punto di partenza e il fine ultimo che dovrebbe accompagnarci in ogni cammino interiore, la cui strada, inevitabilmente, ci conduce in quella misteriosa terra di mezzo (tra il corpo e lo spirito) che è la nostra psiche.

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