lunedì 18 maggio 2015

Tesi Aspic 2015 - La Diarioterapia: Un viaggio alla scoperta del Sé.



Sarò con te. Sarò con te con il mio interesse,
la mia noia, la mia pazienza, la mia rabbia, la mia disponibilità.
Sarò con te […] ma non ti posso aiutare.
Sarò con te.
Tu farai quello quello che riterrai necessario.

Fritz Perls

Indice


Un Viaggio Alla Scoperta Del Sé.



                        Introduzione


Parte Teorica

                        Il Counseling e il Sé.

                        Teoria della Diarioterapia



Parte Pratica

                        Diarioterapia: La mia esperienza
   
                        Conclusioni

                        Bibliografia


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Introduzione alla Diarioterapia


Introduzione.

Il titolo della tesi per il conseguimento del Master in Counseling è "La diarioterapia: un viaggio alla scoperta del Sé”.
Fin dal primo incontro con la mia tutor, il counselor che avrebbe supervisionato la tesi, fu chiaro che le carte per esplorare questo potente mezzo di auto-conoscenza, la diarioterapia, le avevo tutte. L'aver pubblicato un libro con forti spunti autobiografici, mi ha permesso di esperire sulla mia pelle quanto può far bene sedersi e scrivere sulla propria vita, narrare le esperienze che ci hanno segnato o che ci stanno segnando. Scrivere è come seguire un fiume che scorre, tanto è ricco il flusso dei pensieri che si affacciano nella nostra mente quando, finalmente, perché non è un esercizio poi così facile e ne tanto meno spontaneo, quando finalmente ci decidiamo a raccontarci. Raccontarsi nella diarioterapia è come aprire uno scrigno su cui il tempo ha posato la sua polvere e lasciato segni profondi. A pensarci bene quanto possono essere preziose le nostre memorie? Quanta importanza diamo alle memorie che come foto riempiono l'album della nostra vita? E' una considerazione, anche questa, non sempre poi tanto ovvia. E' una considerazione che non a tutti viene in mente. Anche questo, in un certo qual modo, appartiene al mondo dell'intuizione, quell'intuizione che ha accompagnato la trama della mia vita e che ho raccontato, rispettando la privacy dei miei cari, nel mio libro dal titolo, per l'appunto, L'Intuizione.
Sedersi e scrivere, quindi, è un momento della memoria, è afferrare il coraggio a due mani e decidersi di aprire lo scrigno che conserva ricordi, immagini, nostalgie, gioie e dolori. A volte, come è capitato a me, il coraggio viene a mancare, il respiro viene trattenuto. Legati gli uni agli altri, come i grani del rosario, i ricordi rimossi possono venire a galla nel viaggio della diarioterapia e spesso le parole per riportarle sul foglio bianco ci sfuggono, aleggiano nell'aria. Ci domandiamo se vale la pena raccontare anche quel particolare all'apparenza insulso, importante solo per noi, attori protagonisti di quel momento, quell'emozione, quella che sentimmo allora, riuscirà a ri-vivere nelle parole?
Con queste prime considerazioni mi avvio a compilare la tesi finale per il conseguimento del Master in Counseling il cui argomento è la diarioterapia.
Un'altra considerazione riguardante questa tesi e il mio primo libro è che entrambi questi due momenti molto formativi della mia vita, mi hanno dato modo di esprimere e divulgare agli altri, al mondo che mi circonda, quell'aspetto di me dedito all'introspezione che esercitavo attraverso la scrittura, in privato, quando sentivo il bisogno di raccogliermi e di accogliermi. I frutti di questi momenti sono tutti gelosamente riportati in tanti diari, quaderni, agende, che da anni e anni, praticamente dall'età di 11 anni, mi accompagnano nei miei traslochi e nel viaggio della mia vita, raccontandone i momenti più significativi, come i primi amori, le prime esperienze. Le gioie e i dolori, in egual misura, erano (e lo sono) per me fonte d'ispirazione. Mi viene da soffermarmi, oggi come oggi, che mai, proprio mai, ho sentito il bisogno di rileggermi, di reincontrarmi nei miei scritti. Qualche volta, è vero, ne ho preso qualcuno per mostrarmi ai miei figli, e nel leggere loro qualche paginetta, mi sono fatto scoprire nella mia adolescenza, e scendendo dal piedistallo del genitore da cui, a volte, ci conviene dominare la scena familiare, mi sono avvicinato alla loro adolescenza, alla loro giovinezza.

Mentre raccontavo alcuni aspetti della mia gioventù, leggendo dai miei diari, sentivo che i miei figli si interessavano a me, alla mia vita, in un modo nuovo, percepivano che anche io, tanto tempo fa, ero stato come loro lo sono adesso. Anche quella circostanza è stata per me un momento importante per essere vero, non solo come papà, per essere vero come persona. Dei miei genitori, invece, non so molto. Il più delle storie che li riguardano, del loro passato, l'ho appreso per via terze. Non hanno mai amato raccontarsi, il loro censurarsi mi ha spinto a riflettere che per loro, per i miei genitori, ricordare equivarrebbe a smuovere gestalt dolorose e mai chiuse. Meglio tacere e dimenticare. Il mio libro, sotto questo aspetto, invece, riporta alla luce quelle verità mai pronunciate, soprattutto riporta alla luce quei segreti che incatenano le famiglie e il cui potere sta proprio nel fatto di essere dei segreti. Svelandoli alla calda e solare luce del giorno, i segreti escono dal buio doloroso della notte dell'anima, e i segreti non sono più segreti, le persone non sono più incatenate le une alle altre, padri con figli, fratelli con sorelle. Il mio libro è stato un atto di coraggio, soprattutto nello svelare ciò che fino ad allora era segreto e potente. La misura era colma quando iniziai a scriverlo.



Il Counseling e il Sé: I principi della filosofia umanistica 1/3


I principi della filosofia umanistica.

Mi sembra doveroso, a questo punto, considerato il titolo della tesi e il contesto didattico in cui si dibatte, descrivere le dinamiche che legano il counseling, il Sé e la diarioterapia.
Il counseling è un “tentativo”, molto ben riuscito, a dire il vero, uno dei più potenti, di portare benessere nella vita delle persone. Tutte le scienze, o pseudo tali, riguardanti la natura dell'essere, e che si dedicano ad una sfera dell'essere umano, come la medicina, la psicologia, l'alimentazione, lo sport, sono rivolte alla produzione di “benessere”. Il counseling stesso è inserito in un contesto di salutogenesi. Ogni disciplina ha sviluppato delle peculiarità e prodotto benefici importanti nella nostra esistenza; la stessa religione, in un certo qual modo, cerca di portare beneficio alla nostra dimensione spirituale, anche se, a mio avviso, i confini tra religione e spiritualità si vanno via via assottigliando. La spiritualità sta invadendo piano piano aspetti sempre più importanti della vita delle persone, e la religione, con le sue regole, con i suoi dogmi, sembra stia perdendo terreno. Il sistema della liturgia e il complesso delle assemblee gerarchiche producono sempre meno benefici nella sfera spirituale (e psicologica) degli individui, cedendo così il passo a sistemi di pensiero più vicini ai bisogni delle persone e per questo sicuramente più funzionali.
In ambito psicologico, gli effetti derivanti dallo sviluppo della psicanalisi, nata con Freud alla fine del XIX secolo, ha portato sempre più persone a cercare di “capire” le fonti del loro malessere, spingendole ad avventurarsi nei meandri delle loro menti per carpirne le cause. Fin dall'inizio la psicoanalisi era rivolta esclusivamente ai malesseri del mondo psichico; le attenzioni di Freud, infatti, erano dedite a “risolvere” quelle che all'epoca la medicina considerava malattie della mente (del cervello, dell'encefalo) e nei cui riguardi (la medicina) nutriva un forte senso d'impotenza. Freud si laureò in medicina nel 1881 e già i suoi interessi per la teoria darwiniana, uniti al lavoro da ricercatore presso il laboratorio di zoologia di Carl Claus, denotavano uno spirito affamato di sapere, di conoscenza, che unito ad una nota ambizione di fama immediata, lo portavano a spingersi sempre un po' più in la rispetto ai suoi colleghi. Se così non fosse stato non staremmo oggi a parlare di lui, a torto e a ragione, (come sempre si fa quando si discute di menti eccelsi) come del padre fondatore della psicanalisi moderna. L'incipt per avvicinarsi alla mente e ai misteri che conteneva molto probabilmente lo ricevette durante il lavoro svolto all'Ospedale Generale di Vienna mentre si occupava di pazienti affetti da problemi neurologici. Sicuramente la sua amicizia con Breuer, eminente fisiologo che gli aveva a lungo fornito aiuto psicologico (oltre a sostenerlo economicamente nei momenti di difficoltà) è da ritenersi fondamentale, nella definizione di quel cammino che lo porterà poi ad essere il Freud psicologo conosciuto anche dall'uomo della strada. Breur, all'epoca, aveva in cura una paziente, la famosa Anna O., che fu curata con il metodo dell'ipnosi e che Freud apprende e inizia a utilizzare sistematicamente nella sua professione, portandolo a pubblicare, nel 1895, Studi sul'isteria. L'aver concettualizzato le libere associazioni in una vera e propria tecnica di autoanalisi, gli permise di avvicinarsi al tesoro nascosto dei pazienti nevrotici (temine sconosciuto all'epoca). Essi con i loro problemi, le loro difficoltà a vivere una vita “normale”, con la loro insoddisfazione verso se stessi e verso la vita, gli offrirono la visione che molti aspetti psichici dei suoi pazienti, erano originati da una sessualità repressa. La strada della psicanalisi moderna era ormai segnata. Con la definizione del complesso di Edipo la fama di Freud varcò i confini del sistema psichiatrico e a tutt'oggi il modello del conflitto narrato da Sofocle, ripreso da Freud per spiegare molti dei conflitti di cui soffrono i bambini, gira indisturbato tra le varie scuole e correnti di psicanalisi sparse per il pianeta.
Da Freud al Counseling il cammino della psicanalisi è stato lungo e articolato. La maggior parte delle menti che hanno contribuito alla crescita del pensiero della salutogenesi, di cui il Counseling rappresenta in campo sociale, quasi certamente, l'espressione più alta al momento, erano dediti a sviluppare più di una disciplina. Le loro conoscenze, spesso, hanno spaziato dalla medicina alla filosofia, attingendo anche (e soprattutto) a culture diverse, da quelle tipicamente orientali orientate al concetto di anima e di una concezione spirituale dell'esistenza (il Buddhismo, i Veda e altre) a quelle nettamente occidentali e materialistiche del vecchio e del nuovo continente. La particolarità che fa del Counseling uno dei mezzi più moderni per avvicinare le persone al concetto di salutogenesi (normalmente definito benessere) non nasce, però, insieme alla psicoanalisi di Freud. Il concetto del termine paziente (generalmente usato in ambito medico, psicoanalisi compreso) è stato pienamente, definitivamente e in una visione a 360° nel sistema di conoscenza che sostiene il counseling, sostituito dal termine cliente. Il concetto della differenziazione e dell'adozione di tale termine e del corrispondente significato (chiaramente) sono da attribuirsi al diverso modello di approccio alla malattia, al disagio, e alla sofferenza in genere. Tale modello fonda le sue radici in una cultura rivolta ai bisogni degli individui, una cultura basata sulla logica che la scienza (la conoscenza) “deve” essere “necessariamente” utile alla felicità delle persone ed essere essa stessa (la scienza) generatrice di condizioni sociali, ambientali e psicologiche, efficaci al benessere degli individui. Questa corrente di pensiero sarà la base di quella che prenderà, nel XX secolo, il nome di psicologia umanistica-esistenziale.
Tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII il susseguirsi di eventi e di scoperte importanti in moltissime branchie del sapere quali la fisica, la religione, l'economia, la geografia, la politica e tante altre ancora, porta a definire quel periodo storico con il termine Illuminismo. Alla fine del XVII secolo Newton (1642-1727) stabilì la formula matematica della forza di gravità, confermando e continuando il lavoro di Galileo, nella costruzione del modello cosiddetto empiristico o sperimentale. Lavoisier (1743-1794), chimico, filosofo, naturalista, finanziere, formula la legge della conservazione delle masse mettendo ordine nella visione della natura, estraniandosi da concetti cabalistici ed esoterici che dominavano, a quel momento, il panorama della scienza. Il pensiero di Leibniz (1614-1716), filosofo e matematico, ma anche esperto di politica, filologia, storia, con una laurea in diritto, rivoluziona completamente lo “scopo” della filosofia con il suo “Nuovi Saggi sull'intelletto umano”, scritto che influenzerà fortemente pensatori del calibro di Wolff e Kant.
Con Leibniz ha inizio la corrente filosofica dell'umanesimo: la filosofia umanistica. Egli pone in evidenza l'attività e l'iniziativa della persona e mette in risalto le specificità e l'originalità di ogni individuo. Questa filosofia, pari pari, come la espresse il tedesco Leibniz, sono oggi, dopo 3 secoli, la struttura portante del counseling e lo strumento di trasformazione più potente da offrire a coloro che sono alla ricerca di un sistema, un mezzo, per migliorare la propria vita. Come ben si evince, il counseling non si rivolge alla cura di malattie psichiche o altre forme di disagi mentali, che restano sempre e comunque di competenza della psicologia, della psicoterapia, della psichiatria e altre discipline affini, ma si rivolge a chi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, decide responsabilmente di migliorare il proprio livello di benessere.
Mi sorge spontaneo, a questo punto, tirare in ballo Franz Brentano (1838-1917), filosofo tedesco che tra i primi si interessò di psicologia. Egli incominciò a spostare la sua attenzione dai contenuti della mente, spina nel fianco dei pensatori dell'epoca, agli atti e ai processi mentali. Sicuramente molto influenzato dal pensiero aristotelico, al quale sono dedicati molti dei suoi scritti (Sui molti significati dell'esistente in Aristotele – 1862 / La psicologia di Aristotele – 1867 / Il creazionismo di Aristotele – 1882 / Aristotele e la sua visione del mondo – 1911 / La dottrina di Aristotele sull'origine dello spirito umano - 1911) arrivò a determinare una forma di psicologia empiristica che lo portò a formulare il pensiero che si rivelò poi il fulcro delle sue scoperte: l'intenzionalità. Brentano affermava che alla base di ogni fenomeno psichico c'è l'i., e suddivide in tre classi tali fenomeni: rappresentazione, giudizio e sentimento. La sua teoria dell'i. è molto importante poiché troverà grande sviluppo nella filosofia della mente e nella scienza cognitiva del novecento, fino ad arrivare all'inizio degli anni sessanta, quando si cominciò a parlare di intelligenza artificiale.
Anche se distanti quasi due secoli, Leibniz e Brentano, esiste tra loro un filo conduttore, il primo valorizza l'essere umano, nei suoi bisogni e nella sua originalità, e il secondo offre una teoria specifica dei processi psichici considerandoli frutti di un'intentio, sottintendendo, a questo punto, una forza di volontà alla base di ogni azione. Brentano, con la sua teoria sull'intenzionalità, sembra dare un motivo, uno spunto al pensiero di Leibniz, estrapolandolo dai vapori di una semplice teoria (specificità e originalità) Brentano offre all'uomo leibniziano anche una volontà.
Quando parliamo di counseling, parliamo di benessere psicologico, sicuramente, ma non ci stiamo occupando di una patologia della quale la persona possa essere afflitta, e per la quale si necessitano delle “cure” appropriata in contesti medici e clinici ben definiti, stiamo riferendoci a persone che intendono migliorare “se stessi” in un qualsiasi ambito esistenziale: l'amore, il lavoro, il denaro, la famiglia, la salute. Ecco, questo è il counseling: un mezzo per migliorare se stessi e le proprie prestazioni in un certo aspetto della propria vita. Questo è anche uno dei motivi per cui chi si rivolge ad un counselor è un potenziale cliente che richiede un servizio, una consulenza specifica per un problema specifico e non un paziente da curare.
Le persone quindi decidono di stare meglio. Anche Bergson (1859-1941), matematico, uomo di lettere, filosofo, sosteneva la medesima teoria, e su tale teoria formulò il seguente pensiero: esiste uno spirito vitale che anima l'essere umano. Il pensiero di Bergson fu influenzato dal positivismo evoluzionistico di Spencer così come dallo spiritualismo di Boutroux. Il pragmatismo americano subì forti influenze dagli studi di Bergson e forse questa frase (appartenente a Bergson) dice molto rispetto all'idea che noi europei abbiamo di questa nazione che vive al di là dell'atlantico: Compito dell'uomo è garantite il continuo crescere dello slancio vitale, impedendo che si arresti di fronte alle resistenza della materia. In primis la sua attenzione fu tutta rivolta allo studio della coscienza (l'Essai sur les données immédiates de la conscience – 1889) ma questo non gli forniva soddisfazione riguardo alla comprensione dei molteplici aspetti della realtà. Solo rivolgendosi all'universo, all'infinito, all'incommensurabile, riuscì a percepire che “qualcosa” anima la continua novità e la perenne conservazione del Tutto. Questo “qualcosa” sarebbe poi riconducibile all'uomo, come parte integrante di questo universo, dove si manifesta (nell'uomo) come Spirito Vitale.
E' interessante notare che è possibile tracciare un parallelo tra l'influenza del pensiero del filosofo Bergson sul pragmatismo americano e la considerazione che la nascita “sociale” del counseling avviene proprio negli states, all'inizio del '900. L'occasione della coniugazione del termine counseling avvenne pressapoco verso il 1920, anni in cui ci si si dovette occupare del reinserimento dei soldati che rientravano dalla prima Grande Guerra dal fronte europeo. A quell'epoca il primo apporto del counseling fu quello di reinserire, facilitare, riorganizzare la forza lavoro rappresentata da quei giovani e smarriti soldati, a cui la falce della guerra aveva risparmiato le speranze (e la vita). Possiamo dire che quei momenti furono caratterizzati da un impegno della società civile, quella parte già dedita all'assistenza sociale (infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, medici) nella presa di coscienza che una società che si cura dei propri figli se ne prende cura proprio nel momento del bisogno. Questo momento sociale (USA 1920) in cui appare forte l'attenzione e il fornire contesti di accoglienza a chi stava nel bisogno, mi trasmette una grande fiducia nel counseling e sento che le risorse (insite nel counseling) di trasformazione individuale sono applicabili anche, e soprattutto, a contesti collettivi.
Il pensiero corrente, secondo cui in un processo di counseling è soprattutto la relazione, che produce effetti catartici - una relazione chiaramente inserita in un setting chiaro (nel contratto) e pulita (non inquinata da fattori che possono alterare una comunicazione efficace) - nasce probabilmente dagli studi di Martin Buber (1878-1965). Una relazione inserita in un contesto IO-TU (Cliente-Counselor in un setting di counseling), così come ne parla il filosofo ebreo tedesco Buber nella sua raccolta di aforismi L'io e il tu, permette di accedere (per il cliente) a livelli di auto-comprensione che raramente (se non addirittura difficilmente) sono possibili in altri contesti. Ma come è possibile tale alchimia? Che cosa rende il counseling (in un contesto sano, efficace e scevro da fattori patologici) così potente? Buber, il cui processo di evoluzione era stato influenzato da Pascal, Nietzsche e Kierkegaard, diceva:
Quando incontro un uomo offrendogli l’io della coppia io-tu, egli non sarà allora una cosa tra le cose, non sarà circoscritto nello spazio e nel tempo, non sarà possibile descriverlo. Egli è come una melodia, che non è un insieme di suoni, come una statua, che non è un insieme di linee: occorre andare oltre per arrivare al Tu, occorre strappare e lacerare per passare dalla molteplicità all’unità. Quando considero separatamente il colore dei suoi capelli, la bontà del suo animo, nuovamente cado nel mondo dell’esso. Per entrare nel mondo del tu occorre rovesciare il rapporto dello spazio e del tempo, allora non sarà l’uomo nel tempo e nello spazio, ma lo spazio e il tempo nell’uomo. Quando lo colloco diventa nuovamente esso. Stare nella relazione vuol dire non esperire l’altro”.


Buber promuovendo la relazione IO-TU, in un contesto dove la dialogica esprime accoglienza e comprensione, materializza l'evoluzione della comunicazione intesa come flusso tra soggetto-oggetto trasmigrandola in una metacomunicazione soggetto-soggetto. Questo processo, la metacomunicazione sui significati di ciò che si comunica, è l'energia che alimenta la crescita del potenziale umano. Essere counselor significa, a questo livello, sentire il tempo e lo spazio che si muove nel cliente. Sentire lo spazio e il tempo nel cliente è il processo empatico che permette il fluire dello spirito vitale di cui parlava Bergson, dell'intenzionalità del cliente verso i suoi processi psichici di Brentano e la specificità e l'originalità che Leibniz attribuiva ad ogni essere vivente. D'altronde un impegno in cui Buber profuse molte delle sue energie e in cui, sicuramente, era coinvolto perché era di razza ebraica, perché aveva fede, perché credeva nel dialogo, perché propose un sionismo come “educazione”, fu quello di credere, di ragionare, di progettare e di lavorare per un futuro condivisibile tra ebrei e palestinesi. Egli credeva talmente nell'uomo e nelle potenzialità di superare conflitti che la sua idea politica prevedeva la costituzione di una comunità ebraica capace di scegliere come norma il “dialogo” per trasformare, insieme agli arabi (palestinesi), la madrepatria in una repubblica comune, per entrambi i popoli. 



Il Counseling e il Sé: La corrente esistenzialista 2/3


La corrente esistenzialista.

A ben vedere, questi “pensatori”, non erano poi tanto scollati dalla realtà, i loro studi e le loro riflessioni, proprio come una vera scoperta scientifica, si riversavano nella società, nella quotidianità degli individui, offrendo, con il loro pensiero, alternative di nuove e più proficue possibilità di sviluppo, agevolando i popoli a trovare nuove strade verso il benessere, non solo psicologico, ma anche sociale.
L'esistenzialismo che succede alla filosofia umanistica, senza chiaramente prenderne il posto, risulta essere un giusto anello di congiunzione e la naturale evoluzione del pensiero filosofico, che come si può ben immaginare, non è possibile scindere dal pensiero moderno della psicanalisi. Possiamo affermare, sembra ombra di dubbio, che la psicanalisi è figlia di quella zona franca della filosofia che si occupò (e si occupa) del fenomeno della mente, dei processi psichici e di tutto ciò che è riconducibile ad un epifenomeno. Per questo, tra i vari momenti storici fin qui dibattuti, tralasciando gli sviluppi dell'umanesimo che avevano preceduto Leibniz, e a cui erano giunti grandi come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, e prima ancora Nicola Cusano e Copernico, l'esistenzialismo, nello sviluppo del pensiero psicologico, produce un maggiore ancoraggio alle tematiche che la psicologia e la psicanalisi moderna si trovano ad affrontare, alle soglie del XIX secolo, in Europa. L'esistenzialismo sottolinea, come in un immaginario caleidoscopio capace di mettere a fuoco tutte le esperienze che la conoscenza aveva prodotto fino a quel momento, la responsabilità individuale, la libertà di scelta e l'autenticità dell'esistenza. Il periodo che più risente dell'influenza di tale corrente filosofica è la cultura, la scienza e la società occidentale che vive a cavallo tra l'800 e il '900.
La parola esistere ha radici latine, existere, che significa “venire fuori” e il significato era accentrato sulla persona che esiste, esaltandone l'essere umano nell'atto di emergere. L'esistenzialismo si centra quindi sul processo del divenire dell'uomo. Il counseling si centra sul processo di trasformazione degli individui e la filosofia su cui si dibatte, in queste pagine, non è un vuoto a perdere, ma ha contribuito, come insisto a dimostrare passo passo, alla generazione del pensiero che alimenta il counseling inteso come risorsa per “aiutare” gli individui a realizzarsi nella loro vita. Pascal (1623-1662), considerato precursore remotissimo dell'esistenzialismo, mentre intorno a lui ci si occupava di questioni gnoseologiche, egli era tutto centrato su argomenti che riguardavano l'esistenza dell'uomo. Per questo Pascal rifiuta il rigoroso razionalismo cartesiano mettendo da parte la questione se Dio esiste o meno. Il punto, per Pascal, è il seguente: quale risvolto si verifica sulla vita dell'uomo il credere o il non credere in Dio? Questa domanda dimostra palesemente l'interesse di Pascal verso il comportamento umano, verso il flusso dei suoi pensieri e delle sue azioni. Anche sotto questo aspetto, il pensiero del filosofo Pascal, contiene una razionalità e un pragmatismo che addirittura supera il pensiero meccanicistico che imperava a quel tempo. Non fu da meno, infatti, quando, mettendo in pratica le sue conoscenze di matematica e di fisica, contemporaneamente ad Hobbes, inventa il primo calcolatore. L'occuparsi di come e su cosa avrebbe influito la fede, la religione, e guardando un po' più in là, quanto la visione che l'uomo detiene del suo mondo influisce sulla morale, sull'etica e sul comportamento è chiaramente un'attenzione rivolta al processo di formazione delle idee e, di conseguenza, alla sfera psicologica dell'uomo. Kierkgaard (1813-1855), parafrasando una ben consumata frase, passa dal pensiero (cosa succede all'uomo se crede o non crede in dio - Pascal) all'azione; egli affermava: la verità esiste per l'individuo, solo in quanto egli la traduce in azione. Così dicendo affermava l'importanza del valore dell'esperienza che un uomo fa dei fatti immutabili. Per K., l'esperienza non è un concetto astratto, ma un vissuto che poi ciascuno di noi integra nel proprio bagaglio personale, fatto di memorie, di concetti, di opinioni. Gli individui trascendono sempre il meccanismo (la dinamica dei fatti) secondo la loro personalità. La dimensione esistenziale dell’uomo è quella dell’aut-aut: siamo continuamente costretti a fare scelte, scelta come azione (per K.): scegliere la facoltà universitaria, medicina o lingue? ingegneria o giurisprudenza? e cosí via. Naturalmente la scelta di una possibilità implica che l’altra scelta è stata abbandonata: non è possibile scegliere contemporaneamente due possibilità. Il fatto apparentemente banale della scelta, inevitabile nella vita umana, per K. è generatore di angoscia. Per quale motivo? Perché ogni scelta, nonostante non ne siamo consapevoli, implica l’orizzonte della nostra finitezza, l’orizzonte della morte. Se avessimo una vita infinita, infatti, potremmo scegliere tutte le alternative, in successione una dopo l’altra: letterato, poi filosofo, poi giurista, poi medico, ecc., ma questo implicherebbe di avere davanti un tempo infinito; essendoci invece l’orizzonte della morte si è costretti a scegliere. L'essere condizionati a fare scelte, e inevitabilmente rinunce, è la filosofia esistenziale di K.: devo scegliere A e se ho scelto A devo aver rinunciato a B, se scelgo B devo rinunciare a C, e cosí via. Per tutta la vita siamo costretti a fare scelte, in quanto la dimensione esistenziale dell’uomo è quella della possibilità e della scelta. Il focus della teoria di K., che viene travasato nel pensiero del counseling, determinandone buona parte del “carattere” filosofico, è proprio l'aspetto esperienziale dell'esistenza a cui il pensatore dedica buona parte delle sue ricerche, così come la considerazione che le scelte (azioni) ci portano a compiere (esperire) altre scelte. Il counseling, integrando la teoria della conoscenza attraverso l'azione (consapevolezza del significato dell'esperienza) e concretizzandola in tecniche ad hoc (riformulazione rogersiana, gestalt, teoria dei giochi dell'analisi transazionale), ci porta a conoscere il mondo (interiore) facendo esperienza delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, così da condurci a prendere quelle decisioni che, secondo noi (libertà di scelta), ci aiuteranno a conoscerci meglio e a vivere meglio.
La frase famosa di J.P.Sartre (1905-1980): Non è tanto importante ciò che gli altri fanno di me, ma ciò che io faccio di ciò che gli altri fanno di me, sintetizza il pensiero esistenzialista in tema di scelta. L'esistenza, come per Kierkgaard, precede l'essenza. La teoria di Hegel, che poneva l'essenza come principio universale dell'esistenza, viene tenuto a bada anche da Sartre, che come riprendendo il filo del discorso di K. sostiene che la scelta è quindi inevitabile e persino scegliere di non scegliere è una scelta. Anche nel pensiero sartriano l'angoscia occupa un posto chiave: l'angoscia è riconoscere l'inevitabilità della scelta individuale (condanna della scelta). Il counseling, riprendendo l'essenza di questo filosofo, porta il cliente a differenziare ciò che gli accade (i fatti dell'esistenza che gli tocca vivere: amare, gioire, soffrire, subire, agire...) da ciò che questi fatti rappresentano per il suo mondo interiore. Nel counseling si invita a spostare l'attenzione dagli eventi a ciò che gli eventi suscitano in noi. Si intravede, in questo pensiero di Sartre, già un primo abbozzo di quel concetto che sarà alla base della Teoria della Gestalt e che va sotto il nome di figura-sfondo.
Secondo Heidegger (1889-1976) l'uomo è colui che si pone il problema del suo stesso esserci. H. riduce a due le situazioni in cui l'uomo decide di esserci: la situazione emotiva e la comprensione. La situazione emotiva a cui fa riferimento H. è la paura come derivato dell'inautenticità, anche se l'autenticità porta con sé l'angoscia della morte, è anche vero che questo è un modo autentico di essere nel mondo. La comprensione si allaccia alla caratteristica principale dell'esserci: l'autoprogettazione cosciente del proprio futuro. Il circolo del pensiero di H. si chiude sintetizzando che l'uomo può scegliere di realizzarsi nell'autenticità o perdersi nell'inautenticità. Anche qui un riferimento al counseling, per continuare ad essere in tema, mi spinge a dichiarare che l'essere autentico è una delle qualità che un counselor deve necessariamente possedere. Carl Rogers spingerà molto il suo pensiero su questa strada fino a formulare il trittico delle tre A (specificità per un counselor): Autenticità, Accoglienza e Accettazione.

Riepilogando, i concetti centrali della filosofia umanistica-esistenziale di cui abbiamo discorso fin qui sono i seguenti: conoscenza attraverso l'azione, la volontà, l'impegno e la decisione, l'individualismo. Su questi concetti nasce e si diffonde la psicologia umanistica-esistenziale.



Il Counseling e il Sé: La Psicologia Umanistica-Esistenziale 3/3


La psicologia umanistica-esistenziale.

Il 1962 è senza ombra di dubbio l'anno di nascita della psicologia umanistica. E' l'anno in cui Abrahm Maslow (1908-1970) propone a molti colleghi tra cui Rollo May, Gordon Allport, Carl Rogers, Victor Frankl, di riunirsi in un'associazione avente la finalità di studiare il comportamento umano sulla base delle motivazioni positive degli individui. Nasce così il movimento della terza forza, le altre due erano rappresentate dalla psicanalisi e dal comportamentismo. Queste due ultimi movimenti psicologici adottavano un modello di uomo governato da pulsioni o istinti, quindi reattivo all'ambiente. Maslow e gli altri suoi colleghi contestavano questa visione pessimistica e meccanicistica dell'uomo, rifacendosi alle teorie della filosofia umanistica e a quelle della filosofia esistenziale.
Per la psicologia umanistica il concetto centrale è: l'uomo ha il compito di autorealizzarsi. Il fallimento di tale compito porterebbe sensi di frustrazioni e di colpa. Essendo le motivazioni le forze che ci spingono verso l'autorealizzazione, Maslow propone una teoria motivazionale. Egli individua una scala di motivazioni (la piramide di Maslow) che soddisfatte ci portano all'autorealizzazione. Le caratteristiche dell'uomo realizzato sono di cooperare in sinergia con tutte le parti della personalità per l'adattamento pieno alla vita.
Il contributo di Gordon Allport (1897-1967) nell'alimentare la terza forza è sicuramente quello di rivisitare in chiave storica i concetti di Io e del Sé formulati da molti autori di psicologia. Egli conia il termine autonomia funzionale per indicare quei comportamenti che, una volta appresi, si perpetuano senza bisogno di essere rinforzati.
Con Carl Rogers la psicologia umanistica-esistenziale raggiunge, molto probabilmente, il suo apice in termini di rivoluzione accademica. I suoi studi lo portano a formulare La terapia centrata sul cliente. La rivoluzione principale consiste proprio nel termine cliente, per Rogers, la psicologia (così come la medicina) deve essere al servizio di chi ne ha bisogno. Dal concetto di servizio al termine di cliente (in sostituzione del termine paziente) il passo fu breve. L'autorealizzazione di cui parlano i suoi colleghi, R. la definisce tendenza attualizzante e sostiene che ogni organismo è dotato di questa forza che lo spinge a sviluppare le capacità per mantenere, migliorare e accrescere l'organismo stesso. Quando questa tendenza a migliorarsi viene bloccata il processo di crescita dell'organismo subisce esso stesso un arresto e le persone, gli individui, sperimentano una grave rottura del loro senso di integrità. E' l'inizio di un cammino di sofferenza, la vita, per come la percepiamo, non è più la stessa, anzi diviene essa stessa fonte di dolore. Per Rogers, il compito primo del terapeuta (anche questa è un'altra rivoluzione) non è quello di aiutare il cliente a capire cosa gli è successo, a fornire uno strumento psicologico da usare per “risistemare” i suoi pensieri e le sue disfunzionalità, ma è quello di definire un spazio dove regni un clima di accettazione incondizionata (il setting), dove il cliente possa sentirsi a proprio agio e piano piano, riprendere il contatto con quelle parti di Sé, sentimenti, emozioni, valori, principi, atteggiamenti, comportamenti, che l'esperienza aveva scissi. I compiti del terapeuta, per R., quindi non consistono nell'orientare il cliente in una determinata direzione ma di creare le condizioni per lo sviluppo e il ripristino del processo interno al cliente. Per R. il cliente stesso è il processo e questo processo necessita di condizioni ben definite per ri-portarsi in una situazione di benessere. Queste condizioni sono tutte quelle che permettendo l'instaurarsi di un clima di fiducia tra il cliente e il terapeuta (alleanza terapeutica), agevolano l'autoesplorazione, chiarificano il mondo interiore, sviluppano il decisionismo. Tutte condizioni, queste, fondamentali per favorire l'autonomia esistenziale del cliente.
La psicologia umanistica riporta l'attenzione sulla persona che esperisce e non sul metodo. Pone attenzione ad alcune qualità umane come la creatività, la scelta, la valutazione e l'autorealizzazione. Mette in risalto il significato soggettivo della scelta e la ricchezza di potenziale umano contenuto in ogni individuo. Il counseling, figlio della psicologia umanistica-esistenziale, rimette in campo tutto ciò che di buono ha trovato nel cammino del sapere psicologico, ri-mettendolo al servizio del cliente.

Un discorso a parte va fatto per la Terapia della Gestalt, a cui Perls (1893-1970) ha dato tutta la sua vita, e dove sapere occidentale e orientale si fondono fino a formare un'unica teoria, da molti definita olistica. La gestalt, privilegiando il graduale sviluppo della consapevolezza (awareness) come premessa alla capacità di autoregolazione dell'organismo, disconosce il primato della libido come realtà pulsionale. Supera la dicotomia Es-Superio preferendo una visione olistica dell'individuo nel termine, più propriamente di origini orientale, espresso dal concetto del Sé. L'attenzione in cui il cliente è invitato a sperimentare se stesso (il proprio Sé quindi) è il momento presente. L’adesione alla concezione del fluire energetico come condizione di salute in antagonismo al blocco come espressione di sofferenza e di malattia, ricorda molto da vicino il pensiero di Rogers. L'unico istante di tempo dove il qui ed ora diviene senso e significato importante per la crescita della consapevolezza, è il momento presente. Il processo che porta Persl a definire la Terapia della Gestalt inizia nel 1926 quando viene in contatto, durante il lavoro di assistente di Goldstein, con la Psicologia della Forma. Quello che più interessa, e che riporterò poi nella descrizione della mia esperienza, è il ciclo del contatto o ciclo della gestalt. Per adesso mi limito a dire che si tratta di un ciclo di soddisfazione dei bisogni, può anche essere un ciclo di emergenza, ma più in generale si riferisce alla capacità dell'organismo di dare soddisfazione ai suoi stessi bisogni. E aggiungo che per dar-si soddisfazione è necessario che i bisogni vengano prima riconosciuti. 

Indice


Teoria della Diaroterapia: Le mille facce del counseling 1/4


Le mille facce del counseling.

Considerata la grande fame di sapere che distingue il counseling, che mi pregio, a questo punto di elevarlo a conoscenza facendolo precedere dal termine filosofia e definendolo come complemento oggetto, possiamo ben parlare di filosofia del counseling. Abbiamo visto che è stato necessario un periodo storico lunghissimo affinché divenisse quel che oggi rappresenta per milioni di persone in tutto il mondo e, nonostante il periodo lunghissimo, durante il quale si è condito delle migliori teorie che attingono alla felicità degli individui, il counseling è tutt'oggi una conoscenza in crescita. Gli ambiti di applicazione sono sempre più numerosi, dal primo approccio sociale che coinvolse migliaia di soldati statunitensi tornati dal fronte della Grande Guerra e molteplici corrispondenti figure di riferimento quali assistenti sociali, infermieri, medici, formatori, il counseling, si è impiantato nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle imprese economiche, nelle organizzazioni onlus e nelle associazioni a scopo culturale e artistico. La diffusione così capillare nel tessuto sociale e a livelli a volte anche così differenti e distanti tra loro, ci fa capire che la filosofia del counseling è effettivamente basata su valori universali e pienamente condivisibili.

Chiaramente, a tale diffusione, si è parallelamente evoluta una specificità del counseling così che, per venire incontro all'enorme differenziazione del bisogno, si è strutturato in varie ramificazioni. Il counseling oggi si è specializzato. Dal Counseling della Gestalt al Counseling Rogersiano, le prime due definizioni storicamente affermate del counseling, siamo passati all'Art Counseling, al Counseling Sessuologico, al Counseling per la Coppia, per la Famiglia, per gli Adolescenti, per le Aziende. Ma questi sono solo alcuni dei numerosi ambiti in cui il counseling continua ad evolversi. Oltre alle specifiche suddette, essendo il counseling, per principio, rivolto all'autorealizzazione delle persone e allo sviluppo della creatività e del potenziale umano, sarebbe stata una contraddizione se, esso stesso, non avesse generato, creativamente, tecniche riferite anche all'arte, al teatro, alla medicina, al mondo del lavoro e a quello della scuola e dell'educazione. Il risultato è che oggi il counseling può comunicare i suoi principi di psicologia umanistica-esistenziale, anche con la pittura, la scultura, il teatro, il giardinaggio, il bricolage, la poesia, la scrittura. L'ideazione del ben noto strumento (per gli addetti ai lavori) denominato work-shop è la sintesi della creatività che permea l'anima e la filosofia del counseling. Non c'è campo umano, praticamente, che, offerto con le competenze adeguate, non possa ricevere benefici da un counseling strutturato su un specifico approccio. Poiché l'argomento di questa tesi riguarda la Diarioterapia, ho preferito tenerla a parte, fino ad ora, proprio per evidenziarla dal contesto generico, senza per questo togliere o aumentare le caratteristiche strumentali alla pari di quelle fin qui menzionate, ma solo per darle la rilevanza che merita nel presente contesto didattico. Esploreremo adesso un po' più da vicino quel counseling che fa uso del diario, della scrittura come strumento di aiuto e che prende il nome di Counseling Diarioterapico.



Teoria della Diarioterapia: Cenni storici e fondamenti 2/4


La diarioterapia: cenni storici e fondamenti.

La Diarioterapia è una tecnica di autoanalisi messa a punto da Ira Progoff (1921-1998), basata sulla scrittura di un diario intensivo (come lo chiama lui), utile per superare le inibizioni ed i blocchi psichici ed agire in modo adeguato per modificare al meglio la propria vita. Per P. il diario scritto tutti i giorni deve essere rielaborato, in un secondo tempo, ricorrendo alla scrittura creativa. Tale tecnica si trasformerebbe in un formidabile mezzo di autocoscienza. Il D.I. si presenta come un metodo strutturato in maniera tale da permettere di attingere al contenuto dei moventi profondi e desideri nascosti che albergano in ogni individuo. Con la tecnica di P. è possibile una analisi di se stessi, per osservarsi e confrontarsi al meglio delle possibilità, proprio secondo la ben nota frase “conosci te stesso”. P., americano, fondatore del Dialog House di New York City, si è fatto anche conoscere per la diffusione del pensiero junghiano alla gente comune pubblicando numerosi tesi sulle teorie di Jung. P. ha iniziato ad esplorare metodi psicologici per la creatività e l'esperienza spirituale nelle loro applicazioni sociali nei primi anni 1950. La sua tesi di dottorato nel campo della storia sociale delle idee presso la New School era sul lavoro di CG Jung. Nel 1953, la tesi è stata pubblicata in copertina rigida da Julian Press come Psicologia di Jung e il suo significato sociale. Le edizioni successive sono state pubblicate dalla Grove Press, Anchor/Doubleday, e Dialog House. Dopo aver ricevuto il suo dottorato, P. si è aggiudicato una borsa di studio Bollingen e ha studiato privatamente con Jung in Svizzera. Questo lavoro ha portato ad una ricostruzione della psicologia del profondo, in termini di lavoro successivo di Freud, Adler, Jung, e Rank in La morte e la rinascita di Psicologia e una prima dichiarazione di Holistic Profondità Psicologia in profondità Psicologia e l'uomo moderno. Nel 1963, P. ha presentato il metodo di Psiche Evocando in simbolico e reale. Nel 1966, P. trasse dai principi descritti in questi libri per introdurre il metodo Intensive Journal dello sviluppo personale, l'innovazione per la quale è più ricordato. Si tratta di un sistema non analitico e integrativo per evocare e interrelazionare il contenuto di una vita individuale. P. ha scritto due libri che descrivono il metodo: Workshop Journal e The Practice of Process Meditation. La popolarità del sistema si diffuse rapidamente.
La diarioterapia, simile per l'aspetto di autoanalisi e di rielaborazione del vissuto alla fototerapia, permette al cliente un’esplorazione potenzialmente infinita delle epoche di una vita. Il proposito della redazione del diario come esercitazione della cura di sé è quello di recuperare le figure della memoria, dell’immaginario che nel tempo attivano o riattivano comportamenti e modi di essere. L'obiettivo è, come sempre per tutte le tecniche di counseling, quello di imparare a riconoscere il loro insorgere nel presente per procedere verso il futuro guardando con accettazione e benevolenza al passato. La scrittura del diario ha una sua metodica ed in quanto tale si configura come un potente strumento per intraprendere questo percorso di riappropriazione di sé, in particolare attraverso quelle che P. chiama guide di retroazione (spontanei rimandi alle varie coloriture dell’esistenza). Le specifiche sezioni di diario sono costantemente modulate dalla figura del dialogo, sia esso con la società, i lavori, i sogni, le figure di saggezza, le immagini crepuscolari, i ricordi, o una vita non vissuta. La presenza dell'altro in uno spazio libero dove ognuno trova la propria dimensione meditativa, tra movimento e postura localizzata, contribuisce a definire le intenzioni trasformative di questa esperienza.
Un momento in cui la D. produce benefici consistenti è durante l'adolescenza. Questo periodo di sviluppo, caratterizzato da grandi cambiamenti, nel corpo come nella psiche, si offre come terreno fertile alla pratica della D. In questo momento della vita la costruzione della personalità assume un impegno psicologico molto forte, addirittura stressante. Poiché un aspetto interessante della D. è quella di scaricare la tensione, scrivere può rappresentare un diversivo, un guardare altro da ciò che il presente pressantemente chiede; potrebbe anche essere un guardare oltre, tenere un diario rappresenta un buon sistema per far fronte alle situazioni di stress che i giovani si trovano spesso a vivere.
Sembrerebbe che anche gli anziani e in particolare i malati di alzheimer, quando ci riescono, possano trarre benefici dalla pratica dello scrivere. I poteri intrinsechi della scrittura nel mantenere in attività alcune aeree cerebrali è senza dubbio ovvia e non ha bisogno di approfondimenti, se non per soddisfare una “fame” di natura scientifica. Per questo motivo mantenere allenata la mente, spingerla a ricordare e a ricordarsi, è sicuramente una buona attività per le persone anziane, e insieme ad una moderata attività fisica, può indubbiamente apportare una serenità e una chiarezza di spirito e confortare l'ultimo periodo della nostra vita. Sappiamo tutti che anche leggere è un ottimo esercizio per tenere allenata la mente e la maggior parte di noi è consapevole che una caratteristica comune a molti centenari è proprio il loro rapporto con il leggere e lo scrivere.
Adolescenti, anziani, si certo, ma anche gli adulti possono ricorrere alla D. per riordinare le loro idee, per meglio descrivere il futuro, per organizzare un progetto. Il segreto dello scrivere, uno dei tanti, è che la nostra mente, in quel preciso istante, nel fatidico qui ed ora del passaggio del pensiero dalla mente alla carta, lo rielabora. Non appena il pensiero prende forma, disegno, dimensione, sulla carta, il nostro occhio lo ri-vede e la nostra mente lo ri-flette e i neuroni lo ri-elaborano. Ed è proprio questa rielaborazione che permette a questa semplice tecnica di offrire un setting dove portare, con calma, con il nostro tempo, secondo le nostre volontà, ciò che ci sta a cuore, sia esso dolore, sia esso gioia. Il diario diventa il counselor che ci ascolta e in questo processo in cui i pensieri, le ansie, le speranze, prendono forma, la scrittura diviene la riformulazione silenziosa, eco, semplice e chiarificatrice che ci fa attraversare lo spazio della forma (secondo la gestalt) dalla figura allo sfondo.
Quindi adolescenti irrequieti, adulti alla ricerca, anziani consapevoli, tutti possono trarre benefici dalla scrittura. Non posso non menzionare, adesso che mi viene in mente, le lettere di amore scritte e mai spedite che molti di noi (spero di non essere stato il solo a fare questa esperienza) hanno poi rimesso in un cassetto, posate nella memoria, dimenticate e ritrovate. Alcune sono state stracciate, lacerate, strappate, come forse lo era stato il nostro cuore. Anche questa è terapia, anche questa è rappresentazione e trasformazione, sublimazione di un dolore. Non ci insegnano forse nella gestalt a rappresentare la sedia vuota? Non ci insegnano a simulare facendo finta che è vero? E non diventa vero quel che facciamo per finta? Così la scrittura diventa vera e a sua volta viva, perché anche se giriamo quelle pagine, anche se chiudiamo il libro, anche se non torneremo mai più a legger-ci, anche se avremo dimenticato di aver scritto, quello scritto rimarrà dentro di noi, più vivo che mai. Anche in questa modalità si vede chiaro che il benessere non passa attraverso il dimenticare, la scrittura non serve a seppellire i ricordi e le macerie della vita, ma è un sistema per rielaborare il vissuto, per riportare alla vita quelle parti morte di noi.
La D. come parte della psicoterapia narrativa viene bene descritta da Filippo Mittino:
La capacità di narrare può essere intesa come una funzione mentale (Blandino 2009;Maggiolino 2011). Le parole di Hillman e quelle di Calvino poste in esergo offrono uno spazio di riflessione fondamentale per introdurre questa argomentazione. Hillman (1983) chiarisce la natura della mente umana, sostiene che non è fondata sulle microstrutture del cervello o sul linguaggio, ma sull'insieme di quelle storie supreme che costituiscono i modelli dell'agire umano: i miti. Questi sono schemi esemplari che permettono di interpretare aspetti della vita di tutti i giorni; gli antichi facevano spesso di questi racconti per illustrare dinamiche dell'animo umano, che, diversamente, non sarebbero state colte. I miti sono caratterizzati da una struttura aperta, nel senso che le storie che abitano la mente umana, come fossero un'eredità o un patrimonio comune a tutti, possono essere combinate e ricombinate per dar vita a storie originali volte a spiegare la vita di ciascuno (Lévi-Strauss 1978). Calvino (1983), poi, illustra la ragione per cui l'uomo è portato a raccontare: lo fa per rendere rappresentabile qualcosa che diversamente rimarrebbe sconosciuto e per liberare quelle idee, quelle emozioni che senza sosta bussano alla porta del “tabernacolo della nostra mente” (Fornari 1969). dalle parole di questi due autori emerge come la funzione narrativa sia tipica di ogni individuo e come il narrare sia un atto fisiologico quasi come il respirare. La narrazione, intesa come racconto di storie, è vista quindi come fondamentale per dare un'organizzazione al proprio mondo interiore, per imparare ad attribuire significati all'esperienza umana.



Per Freud la scrittura è una modalità di sublimare le proprie nevrosi. Raccontare e raccontarsi è un atto curativo-riparativo. Il testo è per lo scrittore l'equivalente del sintomo per il nevrotico. Jung insiste sul fatto che la scrittura è una finalità sana dell'essere umano. Rank afferma che sia lo scrittore che il nevrotico cercano nuove immagini di Sé: il nevrotico attraverso i sintomi, lo scrittore attraverso le sue opere. Quest'ultimo aspetto penso si possa estendere anche ad altri artisti oltre agli scrittori, e quindi a pittori, scultori, poeti, compositori...Maslow, giustamente, afferma che la scrittura è un mezzo utile (motivazione) al processo di autorealizzazione.

 Teoria della Diarioterapia 3/4


Teoria della Diarioterapia: Il Diario Intensivo di Progoff 3/4


Il diario intensivo di Progoff.

La D.è una modalità di scrittura in cui gli avvenimenti sono elencati giorno per giorno. E' utile come strumento di unificazione dei processi psichici del cliente: la scrittura e la rilettura del diario intensivo permettono di cogliere la continuità dell'esperienza di vita. Il processo di scrittura, inoltre, rende tangibili i pensieri e le emozioni. Il primo beneficio della D. È una maggiore consapevolezza e accettazione di sé, poiché la scrittura è intima, privata, ci permette una migliore espressione dei nostri sentimenti, si fa amicizia con se stessi. Nella D. lo scrivere diviene naturale, protetto, e soprattutto creativo. Essendo un processo di autoanalisi la D. diviene autosostegno e autoesplorazione.
Un motivo di usare la D. nel counseling è quello di farne uso come soluzione parziale a una limitata disponibilità del colloquio di counseling. E' molto interessante l'aspetto del passaggio da una terapia su modello dipendente ad una di autosostegno (autonomia funzionale di Allport). Se usata in parallelo alle sedute di colloquio di counseling diviene una ricca fonte di dati psichici. Una crescita educativa la si può fornire al cliente rimandandogli simboli e significanti del suo scritto e al contempo, con una pratica assidua e metodica, si può rinforzare l'Adulto del cliente.
P. annota: “Scrivere un diario di solito prevede una registrazione cronologica e non strutturata degli avvenimenti, ma ciò non è sufficiente a favorire il cambiamento. E' necessario attivare grandi energie.” A questo proposito mi sovviene di altri autori che sostengono la medesima idea di P. Secondo Pennebaker, uno dei più recenti studiosi del potere della narrazione (self-disclosure – auto-rivelazione o rivelazione del Sé), ha condotto numerosi esperimenti, giungendo alla conclusione che esteriorizzare il vissuto legato a uno o più eventi di vita stressanti consente di elaborarli consapevolmente. Egli sostiene che il processo della scrittura rimette al centro delle attenzione dello scrittore il valore della riorganizzazione dei pensieri e delle emozioni tramite la traduzione in parole. Proprio Pennebaker ha costruito uno strumento apposito (l’Indagine Linguistica e Conteggio delle Parole – LIWC), scoprendo che chi scrive di traumi passati gradualmente riporta sempre più parole positive nel testo e sempre meno negative, con riferimenti crescenti a cause e spiegazioni.
Anche per Gidron si pone la domanda di come considerare i benefici della scrittura. Egli giunge alla medisima conclusione di Progoff: se è vero che scrivere aiuta, c’è da precisare che non equivale a fare una terapia. Per certi problemi bastano le nostre risorse, per alcuni possiamo avere bisogno di un piccolo sostegno, ma per altri c’è bisogno dell’aiuto di uno specialista. Scrivere fa bene, ma non risolvere quei problemi per i quali occorre una persona esterna, formatasi per aiutare a fronteggiare quelli più invalidanti.
Ritornando a Progoff, il d.i. di va diviso in sezioni per rispecchiare i processi di pensiero e percezione del cliente. Inoltre è necessario una rilettura periodica del diario per scoprire nuovi elementi di sé. A tale proposito P. inserisce un'apposita sezione dove riportare i feedback scaturiti dalla rilettura.
Vediamo più da vicino la struttura del d.i.
Sezione 1: Cosa sta accadendo ora nella mia vita?
Questa sezione raccoglie il flusso delle emozioni del cliente così come sgorgano dalla nostra interiorità. Più vengono riportate spontaneamente, più lo scritto si rispecchia nel flusso dei pensieri e delle emozioni e più il materiale raccolto è interessante psicologicamente parlando, per la sua genuinità. In questa sezione troviamo la cronistoria emotiva, i progetti, i dialoghi con persone reali (come quelli che si fanno nella gestalt per chiudere un dialogo interrotto) oppure si può giungere ad un dialogo con una parte sofferente del proprio corpo (generalmente si tratta di quella parte che ha somatizzato il disagio).
Lo scopo della prima sezione è quello di prendere contatto con il proprio vissuto e liberare le emozioni.
Sezione 2: Cosa me ne faccio di quel che ho scritto?
Nel rileggere la sezione 1 il cliente può passare ad individuare l'origine della crisi avviando un dialogo interno ed esplorando il proprio immaginario. Questa è tipicamente una fase di autoesplorazione. P. la suddivide in 7 passi.
1 – Riconoscere di stare male;
2 – Riconoscere che chi sta male è il bambino interno;
3 – Trovare le giuste parole per definire la sofferenza;
4 – Ricercare nel passato la causa che ha scatenato il negativo presente;
5 – Individuare i colloqui avuti con i genitori per comprendere la sofferenza del bambino;
6 – Farsi una domanda: come posso cambiare il mio stato d'animo?
7 – Monitorare i propri comportamenti per evitare la medesima transazione sofferente.
Sezione 3: Obiettivi.
In questa fase ci si prefigge 3 obiettivi: a breve, a medio e a lungo termine.
E' necessario agire con praticità e scomporre il percorso in piccoli e dettagliati passi. Descrivere mentre ci si “vede” ad obiettivo raggiunto usando termini positivi nel qui ed ora (come se l'obiettivo fosse già raggiunto). Anche in questa sezione, come nella prima, è necessario porsi domande. L'obiettivo è stato raggiunto? E se si quando? E' stato modificato?
Sezione 4: Sintesi.
Ora il cliente è pronto per operare una sintesi realistica e più serena della situazione descritta nella 1° sezione. E' necessario rileggerla alla luce della situazione presente per cogliere la continuità dell'esperienza. Riportare i cambiamenti, il modo in cui ha operato, e come si rapportato ai vissuti e ai disagi.

Sotto molti aspetti il D.I. di P. mi ricorda il ciclo della gestalt. Va di per sé che i processi di trasformazione e di crescita verso uno “stare meglio” debbono avere “necessariamente” una base e un filo conduttore comune. L'aspetto geniale che caratterizza il D.I. è l'insieme dei registri che P. istituisce per monitorare settorialmente il processo del cliente. Egli distingue il registro del presente da quello quotidiano e da quello della vita passata, la storia del cliente. Poi inserisce un registro dei sogni, uno delle immagini crepuscolari e uno delle meditazioni. Il risultato finale è un sistema di scritti che rispecchiano i vari aspetti del cliente e dentro cui egli può rivedersi e soffermarsi. 

Teoria della diarioterapia: La scrittura creativa 4/4


La scrittura creativa.

Ci tengo a riservare un paragrafo a parte alla scrittura creativa.
Ritenendo la scrittura uno strumento nobile, forse il più nobile ed elevato che l'uomo abbia mai potuto scoprire, trovare, per esprimere se stesso, per comunicare ciò che sente, per manifestare ciò che vede, per approfondire il suo Sè più alto e il suo Sé più profondo, mi sento in dovere chiarire alcuni punti; uno di questi riguarda l'idea comune di cosa si pensa che sia la scrittura creativa.
I più credono che ad un corso di s.c. si vada per imparare delle tecniche specifiche che possano poi permettere di scrivere autonomamente e “creativamente” un racconto, un romanzo, una fiaba, un libro. Il termine creativo verrebbe quindi utilizzato per attivare un processo che ci permetta di “creare”. Niente di tutto questo. Ho fatto delle ricerche e alla fine ho trovato chi, meglio di me, ha espresso il vero concetto che sta alla base della scrittura creativa. Riporto integralmente questo scritto citandone chiaramente la fonte in calce:

La scrittura creativa è una pratica che spinge a utilizzare, come da nome, in primis la fantasia di una persona quando si mette a scrivere. Ma non fantasia così a caso, come potremmo fare tutti, è una fantasia che ha come fine ultimo far cadere i tabù di cui siamo dotati. La creatività si tende a darla per scontata, ma in realtà basterebbe fare una piccola sessione di brainstorming per capire quanto in realtà siamo tutti limitati da paletti che spesso, sì, ci vengono da fuori, ma in gran parte, ancora più spesso, da noi stessi. Il fatto di pensare a una cosa "assurda" (che ne so, un essere che non esiste in modo razionale, o delle leggi causa-effetto totalmente sbriciolate) ci inibisce a tal punto che siamo portati, in modo del tutto involontario e automatico eh, a auto-castrarci. Va da sè che anche quella che a noi sembra fantasia e creatività, altro non è che un minestrone di razionalità, in cui ancora governa il rapporto di causa-effetto. La scrittura creativa, come il brainstorming, permette, a chi ne ha voglia, appunto di spezzare questi legami per come siamo abituati a vederli di solito e di trasfigurarli in modo che diventino meta-realtà o semplicemente qualcosa di nuovo.
Per esempio è possibile che, chi tiene questi corsi, ti dia una foto di qualcosa o qualcuno e ti chieda di costruirci sopra una storia, di sana pianta. Oppure è possibile che ti vengano date 5-10 parole attorno a cui costruirci un qualsiasi tipo di storia, che però le contenga. Possono essere nomi, cose, esclamazioni, onomatopee. Starebbe a te dare loro un senso, anzi, un impiego nel mondo che tu vai a plasmare tramite la scrittura. Insomma, le situazioni sono tante. La regola base di qualsiasi cosa che abbia a che fare con la creatività è essenzialmente una: mai avere paura delle proprie idee, mai castrarle e castrarsi, mai avere limitazioni, mai dirsi 'no', 'non so', 'fa schifo'. Sembrano più di una, ma è una, perché sono tutte la stessa cosa.
Spezzare le catene del solito per sconfinare nell'insolito. E senza concentrarsi eh! A me dicevano 'più il bambino è distratto, più si diverte'. Fare i creativi è come tornare bambini.
Fonte

Possiamo quindi affermare che la S.C. è: un metodo che fa uso delle scrittura per costruire, esternare, sviluppare, generare, processare, la propria unica personale specifica creatività. Non si tratta di imparare a scrivere qualcosa di importante che possa interessare l'altro o che possa e debba attirare l'attenzione, non si tratta di destreggiarsi a dilungarsi su ogni argomento, si tratta invece di esprimer-si. Questa idea della scrittura creativa va, tra l'altro, di pari passo con il processo di crescita che fluisce in un ciclo di sedute di counseling. Cosa sta facendo il counselor quando accompagna silenziosamente il cliente a cercare il focus, la domanda, il motivo che l'ha condotto nel suo studio? E come poi aiuta il cliente a trovare un nuovo livello di comprensione rispetto alle situazioni che la vita gli porta (al cliente)? E' indiscutibile il fatto che il processo che avviene tra counselor e cliente è un processo creativo, in cui non esiste un metodo esatto (non dimentichiamo che parliamo di terapia centrata sul cliente) e i clienti non sono e non possono essere esatti, essi sono degli individui, in primis. Il setting è esatto, il contesto è definito, le regole di aiuto sono chiare e a queste si piega diligentemente il metodo, qualunque esso sia, affinché il tutto dia come totale un sistema organizzato, strutturato ed efficace, ma il metodo è libero. Come la creatività del counselor.
Sarebbe da sciocchi non comprendere, infine, che la scrittura stessa, oltre a poter essere strumento di espressione creativo atto a creare altri creativi, come appena accennato, non sia creazione essa stessa:

Il Logos è fermento incline alla creazione (poesia), perché continuo ciclo vitale.
Ammiro il leggero declinare dello sguardo sul foglio che ansima e brucia di energia, fuoco che ravviva la flebile fiamma di una candela. Bachelard ha intuito la forza di questo fuoco che si mescola al flusso di energia che percorre una vita, si trasferisce nell'opera, mutando carattere, aspetto. Nella solitudine dell'Anima che cerca i propri simboli, la psyche riporta all'origine di uno spazio intimo, privato, l'immagine del mito che unisce in sé gli aspetti della trasformazione autopoietica. Essa è una sorta di ubris che comprende in sé la lotta degli opposti per riconoscere la propria unione. Dice Epicuro (Arist., Etic. Nicom.): "L'opposto concorde e dai discordi bellissima armonia." Da qui ha origine quel polemos che permette l'insinuarsi del concetto in quella sorta di intenso scambio che non redime, tuttavia, dal peccato di aver ricercato, così appassionatamente agognato la sacralità della parola che diviene testo. Il fuoco che a ciò sottende è la sentenza che dilania gli estremi di uno stesso discorso rendendoli essi stessi elementi. Perché esiste un aspetto magico della scrittura che si confonde ed è esso stesso specchio dell'individuo-che-crea.
Heiddeger.


Un psicologo, uno dei primi, forse, che dedicò attenzione psicoanalitica alla scrittura cercando simboli rilevanti fu Max Pulver (1889-1956). Svizzero di nascita fu amico di vari psicologi e scrittori del tempo, conobbe Freud, Jung e Crépiux. Uomo di grande cultura rilevò, approfondì, creando un suo metodo, da quello di Klages (1872-1956), filosofo tedesco, psicologo e fondatore della grafologia moderna. Pulver trae ispirazione dalle teorie psicoanalitiche sull'inconscio collettivo di Jung, anche lui rileva, come Jung, che il mondo in cui viviamo è ricco di valenze simboliche. L'inconscio si esprime attraverso i simboli e il foglio su cui si scrive rappresenta, il quel momento diadico, l'ambiente in cui ci si muove e si agisce. Un passo di Pulver rilevante è il seguente:

Il potere analogico della carta è un potere simbolico che apre la porta potere simbolico del tracciamento della scrittura. L'analogia della carta rispetto all'ambiente è la base del simbolismo della scrittura nei riguardi degli impulsi psiconevrosi di chi scrive”


Il riferimento alla carta, al foglio che sottintende, secondo Pulver, allo spazio entro cui si esprimono i nostri impulsi nervosi mi permette di distinguere e di fare un parallelo tra lo scrivere a mano e lo scrivere a computer. Essendo i due processi fisiologicamente diversi nelle modalità, nella tecnologia, credo sia inevitabile che, a questo punto, possano soddisfare, le due tecniche, gli stessi bisogni emotivi. Fu durante una lezione del Dott.Edoardo Giusti che appresi, per la prima volta, anzi ne ebbi la conferma, che scrivere con la penna non è la stessa cosa che scrivere con il computer. Il Dott.Giusti, durante la lezione, il cui tema verteva su alcuni aspetti importanti che, secondo lui, se messi in pratica, ci avrebbero sostenuti nella professione di Counselor, ci suggeriva, caldamente, di fermarci la sera, tutte le sere, a compilare due diari, neanche uno, ma addirittura due! Il primo ci sarebbe servito a raccogliere gli avvenimenti della nostra giornata, le nostre riflessioni su tali eventi, insomma il classico diario giornaliero. Il secondo, invece, avrebbe dovuto essere dedicato, specificatamente, agli eventi dell'attività professionale di counselor. Qui, in questo diario, avremmo potuto riportare i nostri successi e i nostri fallimenti con i clienti, le nostre difficoltà e i nostri stati emotivi, descrivere transfert e controstransfert, collusioni, VISSI, abbandoni, inciampi. Questo diario sarebbe stato il nostro supervisore quotidiano. Il Dott.Giusti, a fronte di questo invito, ci parlò anche di molte ricerche scientifiche che dimostrano chiaramente come reagisce il cervello e quali aeree vengono attivate durante la scrittura; queste ricerche, chiaramente, ci informano anche sulle dinamiche che le varie tecniche (a mano o con il computer) scatenano nei processi mentali dei due tipi di scrittori. Sembrerebbe che scrivere a mano offra una maggiore scarica emotiva (laddove se ne sente il bisogno) e che gli individui che la usano più frequentemente abbiano un Q.I. superiore. E poi vuoi mettere la soddisfazione che si può provare ad arrotolare, accartocciare, strappare un foglio di carta per esternare le nostre umane emozioni rispetto ad un semplice virtuale click per fare delete? Credo proprio che non ci sia paragone!

Prima di passare all'ultimo capitolo di questa tesi mi preme riportare una riflessione tra i social network e la funzione dello scrivere. I social network non esisterebbero senza la passione per lo scrivere che agita il digitare sulle tastiere di utenti sparsi per il pianeta. Non si tratta, lo scrivere sui social, certo di una scrittura organizzata, nei tempi e nei modi così come risulta essere il diario giornaliero. Ciò nonostante è un aspetto sociale da non trascurare. Sembrerebbe che il desiderio di comunicare, come sempre, sia alla base dell'esistenza di forum, social, blog. Questi ultimi rappresentano, per certi versi, la versione digitale più vicina al diario. Ricordando che la parola blog deriva dal log-book, il registro di navigazione e di appunti per la vita di viaggio, esso, per struttura e fruibilità potrebbe essere acclamato come D.I. digitale essendo dotato di un autore principale (il creatore del blog), la possibilità di essere ripartito in sezioni, e, aspetto fondamentale, la possibilità di selezionare la condivisione dei contenuti: Ogni scritto può essere pubblicato selezionando varie possibilità per farlo conoscere ai potenziali lettori: pubblico, privato, solo forniti di autorizzazione, esclusivo.

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