venerdì 19 aprile 2019

Alchimia della Trasformazione

Introduzione.



Gli oggetti delle riflessioni, contenute nei paragrafi successivi, sono determinati momenti che riguardano la vita degli individui di tutti i giorni e che interessano in tutti i casi ogni persona, compreso me. A questi momenti, generalmente, non diamo l'importanza che meritano ma, se ci fermassimo un'istante a contemplarli ci renderemmo subito conto che, in verità, sono degni di tutta la nostra attenzione. Questi momenti speciali potrebbero rappresentare per noi le pietre dove poggiare i piedi per guadare il fiume della vita.
Sono state proprio queste riflessioni ad indurmi a scrivere questo libro e ad affrontare il misterioso cammino interiore in cui, prima o poi, la vita ci induce ad addentrarci. Questo cammino, lungi dall'essere una teoria su cosa dovrebbe essere la nostra vita e, parafrasando Adler, cosa dovrebbe significare per noi, inizia in un preciso istante della nostra vita e, a più riprese, come l'incalzare dell'onda verso l'oceano aperto, ci apre ad orizzonti di cui non immaginavamo minimamente l'esistenza. Senza intraprendere questo cammino di cui tratterò avanti, saremmo come naufragi ignavi sbattuti dall'esistenza sulla spiaggia di una anonima isola di questo mare-mondo.

I principi dell'iniziazione alla trasformazione interiore, che intendo qui trattare, lungi dall'essere concetti astratti o dogmi di una qualsivoglia filosofia esistenziale o religione o pseudo scienza, sono, essi stessi, il riflesso dei medesimi principi che attraversano l'universo e la materia/energia di cui è composto. Parole come relazione, punto di vista e qui ed ora ci raccontano di un modello realistico del mondo e delle leggi che lo governano e che danno forma a quell'ordine che ben conosciamo. Tali parole (relazione, punto di vista e qui ed ora) rappresentano le costanti delle equazioni che regolano il mondo visibile e tangibile, senza le quali la nostra esistenza piomberebbe nel caos più totale, poiché esse determinano la dimensione spazio/tempo che avvolge la nostra dimensione umana. Come in un gioco di specchi queste costanti danno modo alla materia e alla nostra esistenza di intrecciarsi l'uno all'altro fino a formare quasi un tutt'uno. A ben vedere che senso avrebbe un tramonto senza lo sguardo ammirato ed estasiato dell'uomo? E cosa se ne potrebbe dire di un'esistenza umana senza tramonti? Questo è il gioco degli specchi a cui mi riferivo poc'anzi. Più avanti approfondiremo singolarmente questi fattori.

Secondo un comune pensiero, abbastanza diffuso e che aleggia nella mente della maggior parte di noi, la filosofia, la spiritualità, il meditare profondamente su precisi argomenti, la ricerca di concetti che vadano oltre le opinioni personali e altre “amenità” del genere, non afferiscono per nulla alla vita di “tutti i giorni” e che queste “cose” non hanno una valenza pratica; quanto appena detto e talmente vero che il tempo impiegato a discutere su tali “cose” viene definito dai più tempo perso. La conoscenza, per farla breve, quella con la lettera maiuscola, viene considerata materia per pochi eletti, quali prelati del mondo religioso, guide spirituali, scienziati, maestri, santi, tutte figure il cui tempo scorre lento poiché non hanno molto da fare (ma questo, lo ripeto, è solo un pensiero comune). Pertanto, attraverso queste pagine, voglio portare all'attenzione del lettore alcune innocenti riflessioni che, spero e mi auguro, troverà interessanti, soprattutto per l'intrinseca semplicità di attuazione della quale ne prenderà personalmente coscienza non appena deciderà di metterle in pratica nella sua vita.

Ritornando alla vita di tutti i giorni di cui parlavo poc'anzi, concorderete con me che, molte, ma molte volte, siamo spinti a considerare, a valutare, ad interpretare ciò che ci accade con un preciso e tipico atteggiamento. Siamo portati, infatti, a pensare agli accadimenti che ci tocca vivere (incidenti, malattie, fallimenti, perdite) come frutto di situazioni “altre”, conseguenze di fatti estranei sui quali non abbiamo nessun potere. Ciò che ci accade, specie se quel che accade è fonte di dolore, viene considerata come una fatalità; tutto avviene per colpa di qualcosa “altro” che non dipende dalla nostra volontà. Raramente, invece, ci soffermiamo a considerare la nostra vita come il risultato finale di un processo del quale ne siamo pienamente responsabili, al cento per cento. Per dirla tutta non consideriamo quello che ci accade nella giusta visione. Le nuvole passano sopra le nostre teste e i tramonti si avvicendano alle albe, trascorriamo la maggior parte del nostro tempo a cercare di “capire”, “risolvere”, “aggiustare”, “sistemare”, “razionalizzare”, con opinioni e idee preconfezionate nella nostra imponente mente (il piccolo Io) e a scervellarci su quale comportamento adottare verso i cosiddetti “problemi”. Dopo aver tanto riflettuto per prendere una decisione, col senno del poi, ci domandiamo se quella presa fosse proprio quella giusta. A ben guardare, bisogna anche dire, inoltre, che gli accadimenti della vita sono il frutto di situazioni legate l'una all'altra, come spezzoni di fune annodate tra di loro; i nodi rappresentano i momenti cruciali della nostra vita e la corda, tra un nodo e l'altro, quegli intervalli trascorsi in tranquillità (relativa!).

Sicuramente, probabilisticamente parlando, molti di voi, come me, hanno già tentato di affrontare il “problema” di “come risolvere i problemi”. Certamente avete sviluppato un metodo, un sistema, e forse avete approfondito tale metodo documentandovi con libri, frequentando, giusto per dirne una, corsi di formazione di auto-conoscenza da cui trarre aiuto per superare gli ostacoli e migliorare la qualità della vostra vita. Questo aspetto dell'esistenza umana, cosiddetto soteriologico, relativo alla ricerca di trovare "certe" soluzioni, diviene sempre più complesso con l'avanzare degli anni e dei secoli. La civiltà attuale, infatti, offre molte più alternative e possibilità di quelle disponibili al tempo in cui hanno vissuto i nostri progenitori. Oggi abbiamo a disposizione una miriade di approcci al problema dei problemi che è sempre lo stesso: come migliorare la nostra vita. Ognuno sceglie una strada che più si confà alla propria psiche e al suo bagaglio culturale ed esperienziale. Molti, in questi casi, abbracciano una religione rivelatrice credendo e sperando di far emergere la loro spiritualità, questi, in tutti i casi, sono sempre meno dei tanti che entrano a far parte di una comunità religiosa per motivi di ordine pratico, come guarire da una malattia o altri problemi materiali. Altri, per migliorare la propria vita, si immergono nei tortuosi meandri della psiche, sperando di guarire traumi e ferite dell’inconscio, altri ancora si abbandonano al guru emergente dell’ultima moda, e ancora, c’è chi si rivolge allo studio e alla messa in pratica di antiche conoscenze come lo yoga o lo sciamanesimo. Ci sono poi antichi metodi che, anche se rivestiti e ri-condizionati in chiave moderna, non tramontano mai, sono i tarocchi, l’occultismo, lo spiritismo; questi sentieri dell'invisibile, tutt'altro che abbandonati, attraggono, ancora fortemente, le masse. Sarà forse il fascino del mistero, dell'inspiegabile e dell’inesplorabile che rende questi saperi così attraenti? Chissà!
Il mondo attuale, insomma, abbonda di soluzioni per tutto e per tutti, e come racconta un mio maestro spirituale, “va tutto bene in questo mondo perfetto”. Quindi, se mentre siamo alla ricerca di qualcosa o qualcuno che possa aiutarci, iniziamo a guardarci intorno, rivolgendo l'attenzione a cosa viene pubblicizzato dai media, troveremo facilmente la “soluzione” che ci piace. Attenzione, dico che ci piace, non ho detto che sia quella giusta e buona per noi, perché a volte, si sa, il sapore della medicina è sempre un po' amaro.

Vediamo come si può collegare quanto detto fin'ora con le Sacre Scritture. Voglio anticipare che la Sacra Bibbia è per me, come per molti studiosi, una raccolta di libri i cui racconti ci dischiudono a volte su eventi storici documentati e comprovati anche da altre fonti e altre volte su racconti fantastici (frutto della fantasia). Questi ultimi, ricchi di simboli archetipici e dove la metafora è il mezzo di comunicazione più colorito e più utilizzato per attrarre l'attenzione del lettore, non propongono di storicizzare ai posteri un evento ma trasmetterci una saggezza e una conoscenza che non intende, e non vuole, andare persa. E' un sapere che resiste alla sabbia del tempo e che, in tempi e modi diversi, secondo la natura dei secoli, ritorna dalla memoria (o dall'inconscio?) alla eterna presenza di noi umani. Quindi, ritornando ad uno dei racconti più belli e fantasiosi della Sacra Bibbia, ma anche più istruttivo, La Genesi, si racconta che il peccato primordiale di Adamo fu quello di aver mangiato il frutto dell’albero della Conoscenza. Frutto proibito, attenzione! Per molti studiosi, questo atto (il mangiare, nutrirsi) dell'Adamo (termine usato per indicare non un singolo individuo ma - probabilmente - la totalità di tutto il genere umano) è sintomatico della tendenza a ricercare attraverso i sensi e la ragione, l'essenza non solo del mondo della materia e quindi dell'intero universo, ma anche della propria esistenza. L'attitudine umana ad esplorare la psiche per mezzo delle scienze psicologiche o il mondo mistico attraverso le religioni, è segno evidente di una inconsapevole sapienza (come un sesto senso) per mezzo della quale egli sente, percepisce, di appartenere a qualcosa di più grande di quel che la sua mente voglia fargli credere. Sembra quasi che tale ricerca sia un movimento verso qualcosa che sappiamo di aver smarrito senza però averne la certezza, o quanto meno delle indicazioni, di che cosa abbiamo effettivamente perso, perché quel qual cosa è sparito dall'orizzonte esistenziale e soprattutto (domandone): quando è avvenuto tutto ciò? Come mai siamo immemori di questa perdita?


A questo punto (quando iniziamo a farci "certe" domande) risulta normale che la coscienza di molte persone, giunta ad un livello critico di crescita, ritenga quantomeno banale continuare a vivere un'esistenza scevra di domande e affogata, invece, in un mare di risposte scialbe e autoreferenziali. Queste risposte, alla stregua di un qualsiasi altro prodotto della civiltà dei consumi, vengono consumate dalle stesse domande ma non rispondono (è proprio il caso di dirlo) all'innata sete di conoscenza che ognuno porta con sé ancora prima di venire al mondo (in questo mondo). Giungere alla fase delle risposte, soprattutto se intendiamo per forza avere delle soluzioni, significa giungere alla fine del cammino, è come un cerchio che si chiude e con esso anche la nostre sete di conoscenza si estingue. Rimanere con domande aperte, invece, è una caratteristica di ogni cammino interiore e un modo per continuare a ricercare ed evolversi. Da qui (da queste domande aperte), ad iniziare la ricerca della propria pietra filosofale, il passo è breve. Moltissimi individui, che pure sentono questa spinta evolutiva della coscienza, non riescono a staccarsi dal materialismo dilagante che impera nella civiltà attuale, mitigando così buona parte dell'energia potenziale insita nel processo evolutivo (e in loro stessi) in modalità meno trascendentali. Volendo fare uso di una terminologia moderna e che fa tanto cult, dirò che a queste persone viene negato il salto quantico indispensabile per la realizzazione del proprio , per la connessione al Tutto e per divenire esseri risvegliati. Inutile dire che la fisica quantistica, come pure il tanto decantato cervello quantico, non hanno niente a che vedere con l'evoluzione spirituale della coscienza e che tutta la subcultura che ruota sui media riguardo al cammino interiore, in particolar modo di tutto ciò che si mette in connessione con la parola "quanto" è solo uno specchietto per le allodole e alla fin fine, solo un altro oggetto da consumare. I media, infatti, trattano di questo aspetto "quantico" della coscienza e dell'esperienza che i nostri sensi, mente compresa, (nella cultura yogica e nei Veda la mente era rappresentata anche come il sesto senso) fanno della realtà, come se fosse l'ultima frontiera a cui la scienza è approdata, dimenticando, invece, o facendo finta di dimenticare, che i principi del "quanto" risalgono all'inizio del 1900. E' in questo contesto socio-consumistico, chiaramente pseudo-evolutivo, che la mente inizia a vagare verso sistemi, metodologie e pratiche, a buon mercato e molto alla mano, rivolti al problem solving (termine moderno e psicologicamente meno devastante del vecchio e oramai in disuso dramma esistenziale). Ma quale sarebbe l'equazione da risolvere in questo problem solving? Semplice: + felicità, + successo, + ricchezza...+ + + . Accade sovente, però, che gli individui, pur applicando quel metodo tanto agognato e in cui hanno tanto investito, sia in termini di tempo che di denaro, per acquisirlo e padroneggiarlo, non raggiungono poi i risultati sperati (+ + +...); essi purtroppo, si troveranno costretti a considerare, con malincuore, di avere inutilmente sprecato energie preziose. In verità nulla viene sprecato, come infatti anche la fisica ci insegna, tutto, a ben vedere si trasforma e finisce poi per costituire, nella fattispecie, un deposito nella memoria, un ricordo, una nuova connessione neurologica, una modifica della struttura psichica, un nuovo modo di guardare a se stessi e ai propri bisogni, insomma un accrescimento dell'esperienza il quale ci potrà sempre tornare utile o quanto meno ci permetterà di comprendere, in futuro, cosa ci è necessario e cosa no. Questo processo affinerà in noi la capacità di discernere, e mano a mano che procediamo nel cammino interiore tale capacità si perfezionerà sempre più, tanto da poterla alla fine assurgere a livello di arte: l'arte del discernimento. Ecco, è su questa attività che bisognerà lavorare molto, lavorare sull'arte del discernimento fino a farlo divenire una competenza in cui eccellere; discorrerò di questo nei capitolo successivi: lavorare con i nostri pensieri in relazione alla realtà quotidiana fino a raggiungere una consapevolezza riguardo a ciò che si abbisogna e a ciò che non ci è utile, a partire dai pensieri che pensiamo. Bisogna apprendere come pensare piuttosto che farci pensare dai nostri stessi pensieri.


Un punto di partenza (riguardo a come pensare) è sicuramente quello di alzare il livello di attenzione verso la qualità della nostra vita, iniziando a ri-considerare il nostro personale livello di benessere in ogni contesto (nella salute, nello stare in società, nella qualità dei pensieri della nostra mente). Gli strumenti che useremo per migliorare la nostra vita sono quelli di cui tratterò più avanti, e sui quali ognuno di voi lettori dovrà o potrà fare profonde riflessioni, al fine di modellarli e calzarli, ognuno secondo la propria natura individuale. Quindi, per dirla incisivamente, in queste pagine non vi saranno illustrati metodi “ad hoc” per operare in un certo modo al fine di risolvere una questione quanto, piuttosto, vi saranno offerti degli spunti da cui partire per imparare a conoscersi meglio: poiché soltanto l'innesco di un processo di auto-conoscenza, vale a dire il famoso conosci te stesso, può a sua volta avviare un processo di trasformazione, di cambiamento, di miglioramento. La semplicità di questa ultima frase è lapalissiana, infatti: come è possibile mettere le mani su qualcosa per effettuare modifiche se di questo qualcosa non ne possediamo la conoscenza? Per questo ultimo fattore il processo del conosci te stesso è al contempo il punto di partenza e il fine ultimo che dovrebbe accompagnarci in ogni cammino interiore, la cui strada, inevitabilmente, ci conduce in quella misteriosa terra di mezzo (tra il corpo e lo spirito) che è la nostra psiche.

mercoledì 11 novembre 2015




Libro L'Intuizione:   Compralo qui:  Lulu oppure Scrivimi una e-mail

L'Intuizione: Romanzo contemporaneo. 



Il protagonista, in una sola giornata, raccontata dalla mattina alla sera, ripercorre la sua vita e in un caleidoscopi di metafore, ricordi, coincidenze e aneddoti, si illumina sul senso della sua vita e, soprattutto, sui fatti accadutogli, mettendo in relazione le persone che ha conosciuto, le emozioni provate, le esperienze vissute, da quelle lavorative a quelle spirituali. Buttando un ponte tra religione e aspetti pratici della vita, colgo anche l'occasione per spaziare sui grandi temi dell'esistenza, Dio, la Conoscenza, l'Inconscio.





Cerco editore per il mio secondo libro: 

Un uomo, molti amori, mille vite:

Primo capitolo: 

Ultimo capitolo: 

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo secondo 
Paragrafo primo



Giunto davanti al semaforo rosso il cellulare trillò l'arrivo di un sms. “Strano” pensò Alex lanciando un'occhiata all'orologio di bordo e considerando che a quell'ora del mattino non era solito ricevere messaggi, nessuno dei suoi collaboratori si sarebbe permesso se non fossero state almeno le 9 e 30. Era quella l'ora in cui, almeno ufficialmente, iniziava la giornata lavorativa. Approfittò del perdurare del rosso del semaforo per soddisfare velocemente la curiosità di sapere chi fosse il mittente. “Buongiorno e grazie” le aveva scritto Julia, buongiorno e grazie ripeté mentalmente Alex. Da Vienna gli giungeva quel buongiorno inaspettato e sicuramente piacevole. “Strano” ripensò Alex. Non era mai successo prima. Il messaggio appariva come l'eco di quella conversazione telefonica della sera precedente, si erano scambiati impressioni importanti sulla loro amicizia, che si poteva dire appena nata. Qualcosa doveva essersi mosso. Giusto un attimo prima che il semaforo desse il verde riuscì a rispondere al messaggio. Non volle inventarsi nulla di nuovo e di originale e al contempo intendeva trasmettere, anzi ri-trasmettere quella sensazione di piacere provata per mezzo di quella breve frase. A rischio di sembrare banale optò per quella che al momento riteneva la cosa più autentica che sentiva di dire, sia per ringraziare e sia per contraccambiare. Buongiorno e grazie, riscrisse e lo inviò. Il semaforo, come sincronizzato a quell'invio, scattò al verde. L'automobile ripartì silenziosa nel traffico di quella via Salaria che al momento sembrava ancora addormentata. Al parcheggio di Settebagni avrebbe lasciato l'auto per entrare nella city con i mezzi pubblici. Da sei mesi aveva aperto quell'ufficio in Viale XXI Aprile, a due passi dalla fermata del metrò.

Uno stridio di ferodo avanzava dalla buia galleria fino a quando trasformandosi in decibel sempre meno sopportabili fu coperto dallo sbattere delle porte che si aprirono davanti ai suoi piedi. Entrò nella carrozza semivuota e, come era sua abitudine, prese posto in piedi nonostante a quell'ora del mattino i posti a sedere abbondassero. Il marciapiede iniziò a scorrere sempre più velocemente fino a quando le buie pareti della galleria non gli rimandarono il riflesso del suo viso dal vetro spesso e infrangibile del finestrino della carrozza.
Si erano conosciuti qualche mese prima ad un incontro di crescita spirituale, nonostante gli interessi lavorativi di Alex riguardassero la formazione, il coaching, partecipare a quegli incontri di tutt'altra natura gli era necessario per nutrire una parte di sé che vibrava a frequenze diverse, per lui, in realtà, erano più che altro una pausa. Rappresentavano un ottimo sistema per abbandonare il tran tran della quotidianità della vita, lì si poteva fermare il flusso impetuoso della vita, focalizzarsi su se stessi per ritornare inevitabilmente rigenerati, soprattutto nello spirito, così da riversare nuove e più fresche energie nella vita di tutti i giorni. E soprattutto agli allievi dei suoi corsi di formazione.

Julia lavorava a Vienna e la sua attività differiva leggermente da quella di Alex, certo anche lei era impegnata nel settore della formazione, ma gli argomenti dei suoi corsi si rivolgevano al mondo delle emozioni, a quell'aspetto della natura umana che oggi è così tanto trascurata. Si erano trovati a frequentare lo stesso ritiro in un villaggio ai piedi del Monte Rosa, avevano fatto amicizia e poi il telefono, l'email e gli sms avevano contribuito a sostenere una relazione gentile e cordiale. E come avrebbe potuto essere diversamente data l'attenzione a cui i due erano spontaneamente portati? Nella realtà, per come stavano le cose, al momento la si poteva considerare una relazione virtuale, anzi un'amicizia virtuale, sulla quale Alex, da qualche giorno a questa parte, iniziava a farsi delle domande.
Per lui, infatti, era come una grande incognita, se avesse dovuto rappresentarla alla lavagna, l'avrebbe disegnata come una grande X. Da quelle poche sedute avute con Dalila, la sua terapeuta, era uscito fuori che era proprio la relazione oggettuale con la donna che gli muoveva un senso di angoscia. Da quando era entrato in contatto con questa parte di sé aveva letteralmente preso coscienza che bastava l'idea di avvicinarsi ad una donna a farlo stare male. Si faceva mille domande. Aveva paura di amare o si trattava soltanto di una grande timidezza?


“Da quello che mi dici, Alex, riguardo a come ti senti quando una donna ti piace e dal tono della tua voce, mi viene da pensare che le donne ti mettono ansia, ti spaventano, come se tu avessi paura” le disse Dalila durante l'ultima seduta di due mesi prima. “Sì” disse Alex, e percorrendo con lo sguardo la libreria alle spalle di Dalila, quasi a voler evitare un incontro di sguardi aggiunse “Forse è così”. Sentiva che era vero, iniziava ad avvertire un senso di angoscia e forse anche un'antipatia verso le donne in generale, e sentirselo dire da un'altra donna, Dalila, lo infastidiva maggiormente. Contare i libri sugli scaffali, soffermarsi sulla qualità della rilegatura e carpirne i titoli scritti in verticale, da quella distanza, non era facile, restava comunque un buon sistema per sfuggire a quella sensazione di disagio che emergeva con imbarazzo, con insistenza. Prenderne atto non era facile, né semplice, né comodo. Mostrando un senso di stanchezza e di resa, Alex si massaggiò la nuca e convenendone la concretezza di quanto appena emerso, all'improvviso sentì un moto di ribellione. Si mosse sulla poltroncina come a ritrovare una posizione più stabile, a voler fissare in una nuova postura quella consapevolezza sulle donne e quasi con l'intenzione di sfidare il genere femminile tutto, fissò Dalila diritto negli occhi dicendo “Sì, sicuramente”. Dalila ricambiò il suo sguardo, quasi con indifferenza, sembrava impassibile, con i suoi occhi scuri sormontati da marcate sopracciglia latine e con quei capelli da un nero corvino che avvolgendole il viso lambivano appena appena le spalle lasciando scoperto il collo ritto e morbido. Nonostante l'aria indifferente di Dalila, si percepiva un'attesa, un'attenzione che Alex sentiva come uno scavare dentro, per questo lui, di riflesso, prese a scavarle i lineamenti, scoprendo nei suoi occhi quel fascino mediterraneo che non tutte le donne apprezzano e forse non sanno neanche di avere, soffermandosi sul profilo delle labbra carnose, che immaginava calde e morbide. Anche Dalila, la sua terapeuta, gli piaceva, e come non poteva essere altrimenti? Alex ne era semplicemente affascinato. Adesso nella penombra di quello studio qualcosa sembrava stonasse con la femminilità di Dalila. La sobrietà dell'arredamento i cui colori andavano dal noce scuro della libreria al mogano della grande scrivania gli ricordavano lo studio di un notaio più che di un terapeuta eppure non era la prima volta che si sedeva lì, su quella sedia, davanti a lei. Come mai lui che era sempre così attento, così curioso, non avesse fatto caso a quanto quello studio, quell'ambiente era così poco rappresentativo di Dalila? Adesso invece tutto gli appariva più chiaro, come se la scoperta di questo sentimento negativo che nutriva verso le donne gli avesse aperto non solo la mente ma anche gli occhi. Sullo studio non c'erano dubbi. Si avvertiva una forte influenza maschile e questo spiegava anche la placca giù sul portone di ingresso, Studio Associato e poi un'altra parola della quale Alex non ne ricordava il nome, dava adito di pensare che Dalila non fosse l'unico professionista a operare lì.


continua.....

lunedì 2 novembre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo quinto


Cespuglio di margherite giganti



La scena del sogno continua con Alex impegnato in un lungo percorso per recarsi al congresso che l'avrebbe portato per strade di campagna, viottoli a bordo di campi incolti, fino a passare per un piccolo paese, un pugno di case, dove attraverso stretti vicoli la sua camminata diventava sempre più ardua. Anche per via di un'ingombrante sedia di legno, quelle di vecchia fattura, priva di braccioli, con cui doveva segnare ogni passo che compiva. Era come se la usasse a mo' di bastone. Fin quando il cammino si svolgeva per le strade, il percorso, anche se faticoso, si rendeva fattibile, quando invece si trattava di immettersi in stretti vicoli la presenza di quella sedia diventava un vero e proprio ostacolo al proseguire. Alex era quasi giunto alla fine del paese, lo aveva attraversato quasi tutto, quando uscendo da un basso portico, di quelli che si trovano ancora nei centri storici dei piccoli centri, si trovò a fare l'equilibrista con la sua sedia, tanto era divenuto stretto il vicolo, e per di più, tra pochi metri quel vicoletto si sarebbe trasformato in una ripida scalinata che l'avrebbe portato al livello inferiore dove correva la strada principale del paese. Era una scala i cui gradini, man mano che si digradava, diventavano sempre più piccoli e le mura sempre più strette fino al punto in cui la sua sedia sarebbe sicuramente rimasta incastrata. Insieme ad Alex. “Non è proprio il caso di passarci” pensò dopo aver bene osservato la forma e lo scendere di quella scala. “Sicuramente sarò costretto a tornare indietro, tanto vale non tentare” si diceva mentre osservava la strada principale, larga e comoda, che passava a pochi metri più sotto. Perciò preferì fare retromarcia, e dalla cima della scala si rivolse come a tornare indietro ma solo per fare un giro un po' più lungo. 

Dopo un po' Alex già camminava agevolmente sulla strada sottostante, la sedia non gli era più d'impiccio, e pensare che solo qualche secondo prima quella stessa strada gli sembrava inaccessibile e irraggiungibile, e che invece solo per una piccola deviazione, adesso la si poteva percorrere in tranquillità e andare oltre. Fu a quel punto che sopraggiunse il professore a bordo di una vettura comoda e spaziosa, quella con cui è facile trasportare anche dei carichi abbondanti e ingombranti, una furgonette. Il professore dimostrava così, anche con la scelta dell'auto, di essere una persona estremamente pratica e di rifuggire tutto ciò che aveva il senso del superfluo e dell'inutile.

All'improvviso è notte, la furgonette si avvia a transitare per la strada principale del paesino e ad un certo punto il tragitto continua e si insinua in una galleria. Non era una vera e propria galleria stradale quanto una specie di grotta naturale illuminata da luci che davano alle mure e alla strada singolari riflessi di colore giallo, come se l'illuminazione provenisse da lampade a petrolio, anzi sembrava che la luce provenisse da una tecnologia ancora più primitiva. Dalle ombre che ondeggiavano sui muri pareva che il tutto fosse adornato da bastoni fissati alle pareti e impregnati da grasso di balena il che dava alla scena un senso di magia misto ad inquietudine. Ad un certo punto il cammino termina di fronte ad un garage, più che un garage sembra una grotta nella grotta il cui ingresso è chiuso da una porta basculante. La furgonette si arresta proprio davanti alla grotta, la porta si apre, e un grande spazio riempie la vista un po' stupita di Alex. 

Lì sotto era pieno di quegli oggetti tipici che si portano “giù” in garage o in cantina o in un deposito dove finiscono quelle tante cose che non riteniamo più utili e da cui, nonostante l'inutilità che rappresentano per la nostra vita, non ce ne riusciamo a staccare del tutto. Per questo le releghiamo in cantina e non le diamo al rigattiere. E' come se un legame ci unisse ancora a questi oggetti che un tempo erano rappresentativi di un pezzo della nostra vita interiore e allora continuiamo ad accumulare, accumulare e accantoniamo giù, giù, sempre più giù, oggetti di scarto, usati, rotti, mutilati. Oggetti consumati dal passato, dalla vita, oggetti che portano il segno dei nostri errori e che ancora sono per noi come cicatrici non guarite. Per questo sono là, nel cimitero del nostro inconscio, perché aspettano di essere sanate, attendono che noi decidiamo, un giorno o l'altro, di guarirle. Non riusciamo a distruggerli, questi oggetti, questi pezzi della nostra vita, potremmo bruciarli come ai tempi addietro nei rituali fuochi purificatori di Sant'Antonio o buttarli giù dal balcone, seguendo un sport nazionale oramai abbandonato, come quando l'anno giungeva alla notte di San Silvestro. Il povero santo nulla c'entrava con il nostro desiderio di fare spazio, era soltanto un gesto, quello di buttare giù, che avrebbe permesso al nuovo di entrare nella nostra vita alla pari di quel nuovo anno che rinasceva, anche solo dal calendario, in un primo istante di un primo giorno di un primo mese per ripetere l'eterno ciclo del tempo. Era solo un rito, anche quello, un mistificatorio rito, ma non per questo privo di importanza e di significato per il nostro inconscio collettivo. 

Così era la cantina del professore, piena, anzi strapiena e, conoscendolo, non avrebbe potuto essere diversamente. Prima di arrivare alla grotta del professore, durante il tragitto nella furgonette, era avvenuto un fatto strano. Il professore, mentre era alla guida, aveva posato un braccio sulle spalle di Alex, e sorridendo aveva detto “Eh Alex, la conferenza di stasera, la parte di assistente, e adesso ti trovo per puro caso a chiedere un passaggio. Proprio amore a prima vista, il nostro, un vero colpo di fulmine. No?”. A tali parole Alex rimase alquanto imbarazzato ma bastò la risata del professore per fargli intendere che quella frase era solo un'altra delle sue battute, buttata là per adeguarsi a quel suo modo di essere anticonformista. “Scherzavo!” disse il professore. Così dicendo la mano del professore ritornò sul volante lasciando Alex libero di fare un bel respiro di sollievo. Nella caverna il professore si prodigò in una scena in cui per mostrare come alcuni suoi colleghi si stavano preparando a quella serata. Per interpretare la loro ansia per quell'attesa si mise in bocca 4/5 sigarette, sottolineando in tale modo come stavano affrontando il nervosismo pre-serata, e poi, come mostrando il lato buffo della situazione, sputò d'un colpo per terra le sigarette e con una fragorosa risata si spinse all'indietro sulla quella vecchia poltrona abbandonata alzando gambe e braccia come un bambinone e mostrando le mani a pugno in segno di vittoria. 

Un' altra persona aveva assistito silenziosamente a questa scena di gaudio e la presenza di un altro spettatore, oltre ad Alex, sicuramente aveva incitato il professore a quella rappresentazione a dir poco teatrale. L'altro rimaneva in silenzio, in un angolo leggermente meno illuminato rispetto al resto del deposito-grotta. Alex, nonostante non lo vedesse in volto e fosse avvolto da leggera ombra, lo percepì comunque come uno spirito buono. L'ultimo show del professore consistette nel disfarsi delle scarpe sfregando i talloni l'uno contro l'altro e, facendole volare da sopra alla furgonetta, si apprestò, a suo dire, alla ricerca dell'elegante abito necessario alla serata. Fu allora che si rivolse ad Alex con uno sguardo sorridente quasi a volergli dire: “Keep calm and relax”. 


Dal balcone della cucina, anche senza affacciarsi si poteva vedere il traffico delle autovetture che, a quell'ora del mattino, era più che scorrevole. Entro pochi muniti anch'egli sarebbe stato parte di quel flusso di automobili per giungere al suo ufficio nei pressi della Nomentana. “Certo” si disse Alex dando fine al fondo della sua tazza, ritornando alla realtà e ripensando ancora a quell'annuncio (Voglio una relazione seria), “Ci sono vari modi di intendere la serietà”. Anche il professore era, in cattedra, nei consigli, con i colleghi, una persona che teneva ai valori e soprattutto al rendimento degli allievi. E non per questo, a dispetto del parere degli avversi colleghi, che proprio non digerivano il suo humour, non fosse una persona seria. Anzi, certamente era il più serio di tutti.



sabato 31 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo quarto


Tramonto su Campolongo - Salerno

Quello schema nel sogno invece, con poche linee, rappresentava degnamente come si sarebbe svolto quel momento e le modalità in cui Alex sarebbe intervenuto. Secondo il professore, così come spiegava anche il tracciato alla lavagna, bastava che Alex rivolgesse la sua attenzione ad alcune parole magiche e a dei gesti precisi. Sarebbero stati questi i segnali indicanti ad Alex come e quando intervenire, ed anche se temesse che quell'incarico fosse troppo impegnativo, suo malgrado dovette accettare. Non se la sentì di rifiutare poiché il professore gli stava veramente servendo un'occasione d'oro su un piatto d'argento, e così Alex ne convenne che avrebbe recitato la “parte” dell'assistente. Decise di mandare a mente lo schema del professore memorizzandolo in ogni suo passo; si rese così conto che il lavoro da svolgere risultava più semplice a farsi che a pensare di farlo. In realtà trovarsi di fronte ad una platea così vasta come sarebbe stata quella che tra poche ore avrebbe riempito l'aula magna era motivo di inquietudine. Aveva bisogno di una soluzione per allentare lo stress che la timidezza gli procurava in quella situazione, in cui la parte di assistente del grande e geniale professore, rappresentava, invece un buon trampolino di lancio per la sua carriera. La soluzione fu di convincersi che tutto sommato, non avrebbe avuto modo di guardare il pubblico negli occhi, poiché gli occhi, i suoi per l'appunto, sarebbero stati abbagliati dai riflettori puntati verso la sua persona e quella del professore. Difficilmente quindi avrebbe visto chi lo guardava. A questa idea il suo animo si rassicurò non poco.

Il professore per infondergli maggior coraggio, ed in questo non mostrava affatto quel suo lato spiritoso con cui affrontava problematiche anche importanti, gli suggerì di farsi un giro di perlustrazione della sala congressi. Gli consigliò di prendere conoscenza della posizione della sua poltrona e del tragitto che avrebbe percorso per raggiungere il palco. Questa visita alla sala gli avrebbe permesso di acquistare sicurezza e padronanza in tutto ciò che sarebbe avvenuto dopo. Ed Alex così fece. Si addentrò nella sala e prendendo coscienza di quello spazio si immaginò come si sarebbe svolta il suo recarsi al palco e cosa avrebbe detto il professore e come egli lo avrebbe assistito durante la conferenza. Tutto questo immaginare durò forse qualche secondo. La mente è sempre molto rapida a costruire false realtà, anche se in questo caso si trattava di crearne una che di li a qualche ora si sarebbe verificata concretamente.


Alex, come già detto, cercava di evitare la proposta del professore con la scusa di parcheggiare la macchina del suo amico, che nella vita reale esercitava la professione di architetto e con cui non intratteneva più nessuna relazione avendone interrotto da tempo l'amicizia. Alex rivolse il suo sguardo a Raphael, apparso sulla scena del sogno, constatando con amarezza che nonostante fossero passati tanti anni sembrava non fosse invecchiato. A ben pensarci era vecchio già da giovane. Sul viso circondato dalla solita barba alla leonida permaneva la consueta espressione senza emozione, come di chi, a parte dalle proprie idee, non è interessato ad altro. Con l'architetto, invece, erano stati colleghi di lavoro ed il datore un giorno si trovò a fare una scelta. L'azienda attraversava un periodo difficile, le commesse erano in calo, i debiti in aumento, e si doveva ricorrere ad una riduzione dei costi. Uno dei due sarebbe stato licenziato, e la decisione, almeno per quel reparto, riguardava Alex e il suo ex amico architetto. La scelta cadde sull'ultimo arrivato, su Alex, nonostante le sue competenze superassero quelle del collega; queste di Alex andavano dalla contabilità all'informatica, dal marketing alla consulenza aziendale. In verità all'azienda non interessava e né serviva un architetto; riguardo alle competenze del collega, il disegno, il calcolo, chiaramente Alex non poteva concorrere, e comunque l'amico era praticamente sprecato in quella dimensione aziendale. In realtà tutte le sue complesse specificità architettoniche si riducevano a qualche disegnino su autocad e a concordare con il capo produzione, che ne sapeva molto più di lui, su come affrontare gli aspetti tecnici legati alla produzione. 

Per questo ad Alex gli fu consegnata la lettera di licenziamento e l'azienda si tenne l'incapace quanto inutile architetto confermando con tale azione la mediocrità di tutti quegli imprenditori, e non sono pochi, che preferiscono mettere alla gogna competenze e professionalità pur di tenersi in azienda l'amico dell'amico o l'amico della persona influente di turno. Questa classe di imprenditori, dopo essersi assicurata l'incompetenza del dipendente amico passa poi a lamentarsi del mercato che “non tira”, dei clienti che “non pagano” e delle inefficienti politiche dello stato e delle banche per finire alla spietata e sleale concorrenza dei cinesi. Ad altri colleghi sarebbe toccato a breve, considerando la maestria con cui si esercitava la gestione dell'azienda, inevitabilmente, la stessa sorte; l'azienda stagnava in una recessione economica e la possibilità di conservare un posto era sempre più labile. Tale situazione avrebbe riguardato, nel breve futuro, molte figure lavorative di quell'azienda.

giovedì 29 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo terzo


Colline nei pressi di Capaccio - Salerno

Il caffè saliva facendo borbottare la caffettiera. Alex ruminando il suo sogno era passato dal bagno alla cucina e si apprestava a rifornirsi di caffeina così che ogni offuscamento mentale residuo del risposo notturno sarebbe scivolato via. Una tazza di caffè bollente gli avrebbe schiarito completamente le idee. Bevve un sorso e si diresse nello studio all'ingresso dove, al ritorno da lavoro, era solito lasciare la ventiquattro ore. Ne trasse l'agenda e continuando a sorseggiare il caffè, ritornò in cucina. Si sedette per dare uno sguardo agli impegni di quella giornata e considerò che avrebbe potuto farcela. L'agenda era sì piena ma non abbastanza da farlo rientrare stressato, era sua abitudine prefissarsi ritmi adeguati a quelli che lui definiva “personali” indicando così, come era solito dire ai corsisti che partecipavano ai suoi corsi di formazione, che ogni persona ha un suo ritmo, ha una sua specificità nell'impiegare le risorse per raggiungere gli obiettivi. Gli piaceva molto, durante i corsi, proporre la frase “attraversare il tempo” e pensandoci adesso, mentre passava lo sguardo sugli appuntamenti della giornata, qualcosa nella sua mente, a questa frase, “attraversare il tempo”, gli fece pensare alla relatività, e poi con una banale quanto inevitabile associazione ad Einstein, per arrivare al professore. E di ritorno al sogno.

Qualche scena più in là, dopo un po', nel sogno compare il famoso professore a proporre ad Alex, quasi in contrapposizione all'esagerata umiltà che mostrava nel ritirarsi dagli eventi importanti, come il partecipare anche solo da spettatore all'imminente congresso, di essere suo assistente sul palcoscenico. Quando il professore sarebbe salito sul palco per illuminare la platea su aspetti complicati della fisica, compresi quelli riguardanti la branca della fisica quantistica, delle interazioni tra la dimensione pensata della mente e la dimensione dei fatti reali, avrebbe sicuramente fatto ricorso al suo amato humour per spiegare la scienza e la fisica con divertenti metafore. Mentre l'ilarità avrebbe scosso i presenti, Alex sarebbe stato lì, a far da assistente al suo professore. Qualcuno, per non dire molti, non avrebbe compreso le sue teorie, né tanto meno il suo intelligente humour, e questo faceva parte di quei fatti che, si sa, inevitabilmente accadano. 

Gli esseri umani perseguivano da tempo, quel processo di atrofizzazione dei centri cerebrali volti alla capacità sia di comprendere la differenza tra buono e inutile e sia di sviluppare comportamenti adeguati alla sopravvivenza della specie, per cui ogni tentativo di cambiamento, anche lieve di questa struttura psichica, richiede uno consumo enorme di energia in termini di attenzione, di stimolazione, di verifiche e di risultati a dente di segna; si abbisognava di una innata capacità di sopportazione e di pazienza per restare in quell'ambiente accademico dove si veniva matematicamente a dimostrare la teoria del soprannumero di ignoranti e di presuntuosi che circolano sulla superficie terrestre rispetto agli umili e ai capaci. Ciò non toglie che sia il professore che Alex e di tutti coloro di cui si è trattato fin qui, avrebbero potuto far parte delle prime due classi di individui, e questo non per offrire al lettore del momento un simulacro di scuse, tanto per confutare che l'ego, quando è isolato dalla consapevolezza, parola che ci riporta alla coscienza di sé e di rimando alla conoscenza di se stessi, da qualsiasi pulpito faccia sentire la sua voce, è notoriamente portatore sia di illusioni che di falsità. Più di illusioni, in verità.

Alex sarebbe stato così ricompensato dalla buona sorte. Il professore gli aveva suggerito anche il posto, contrassegnato dal codice 24h, che sarebbe stata la poltrona a lui riservata e da cui si sarebbe gustato quell'importante avvenimento accademico dove molte personalità importanti, del mondo della scienza, avrebbero illustrato le loro ultime teorie. Alex avrebbe avuto una poltrona prenotata e da lì poi si sarebbe alzato per accompagnare il professore al palco, genio tra i geni di quella serata, con lo stupore di molte sue conoscenze, che sarebbero rimaste, a causa della forte invidia da sempre nutrita verso il mite Alex, chi senza fiato e a chi invece il fiato non sarebbe mancato sarebbe rimasto a bocca aperta, con la tipica espressione del pesce a cui un ictus gli ha appena devastato quella zona cerebrale deputata all'articolazione della parola.


Alex con l'umiltà che gli era familiare e che esternava anche nel sogno, dove addirittura sembrava che si accentuasse maggiormente, espose i suoi dubbi sulle capacità di poter assistere degnamente il suo mentore in mezzo e davanti a quella enorme platea. “Niente paura” lo rassicurò il professore e per meglio spiegare come si sarebbe svolto la sua opera di assistenza disegnò uno schema alla lavagna, proprio come era solito fare ai tempi della scuola, con quello stile tipico del professore che usa il gesso come un prolungamento delle sue capacità comunicative. Il professore era capace di rivolgere le spalle alla scolaresca per periodi che sfioravano la mezz'ora piena, mentre era intento a scrivere formule dopo formule, da cui traeva paradossi e diseguaglianze, attraversando il territorio dei logaritmi, dribblando tra integrali ed equazioni a enne variabili, e scriveva, scriveva, scriveva fino a quando non c'era più spazio alla lavagna. Era quello il momento in cui rivoltandosi alla scolaresca fissava i suoi alunni come se fosse in trance e discendesse, proprio in quell'istante, da un'astronave proveniente dal pianeta Pitagora. Quanto ai ragazzi, invece, avevano la faccia di chi avesse appena assistito al big bang. In quei momenti sembrava che tutta la scolaresca attraversasse un tunnel spazio temporale, come se le formule alla lavagna stessero materializzando quell'universo matematico così da trasportare come in un vortice studenti, professore, banchi, lavagna, libri, quaderni, sedie, penne e tutto ciò che in quell'aula fosse dotata di una dimensione atomica in un angosciante qui ed ora. Solo un attimo e poi la totalità degli elementi costituenti il sistema aula, come un unico organismo, sarebbe ritornato dal quel viaggio nel tempo di una manciata di microsecondi, tirando un sospiro di sollievo. Quando il gessetto con cui spaziava alla lavagna si riduceva ad un microscopico monchetto, allora egli mostrando quel che rimaneva si rivolgeva alla classe attendendo pazientemente che qualcuno si occupasse di farne rifornimento. Velocemente un volontario si sarebbe alzato dal suo banco, sotto gli occhi intimidatori e minacciosi dei suoi compagni, sarebbe corso dal primo bidello disponibile per ritornare, velocemente in classe, troppo velocemente secondo i compagni, a rifornire il professore genio, che, nel frattempo, aveva acceso e aspirato avidamente mezza MS con le sue dita oramai segnate dal nero nicotico. 

mercoledì 28 ottobre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo secondo


Come il professore, anche questa figura, apparteneva all'epoca della scuola superiore. Si trattava di Raphael, il collega più antipatico con il quale Alex avesse mai potuto condividere un banco di scuola e la sua figura, nel sogno, era la stessa di tanti anni fa. Come ai tempi del college, degli occhialini da intellettuale a tutto tondo gli stringevano sul naso e mostrava la stessa identica faccia da ebete con cui si presentava a conferire nelle materie di fisica e di geometria quando veniva chiamato per le interrogazioni di rito dal professore e lui, in quei frangenti, mostrava tutta la sua ignoranza e la sua incapacità nel formulare un ragionamento critico e logico così come quelle materie esigevano e che in fin dei conti erano i suoi lati deboli, abituato com'era a ragionare sui massimi sistemi. E sì, perché lui, Raphael il compagno, era così che lo chiamavano, non aveva altri argomenti per la testa che il comunismo e la lotta di classe. Con il senno di poi Alex avrebbe potuto ben affermare, senza colpo ferire, che quella di Raphael era una vera è propria ossessione e qualcosa gli diceva, chissà perché, che se l'avesse incontrato, se si fossero per puro caso rivisti, avrebbe avuto modo di considerare come quella ossessione fosse ancora fossilizzata nella mente del povero Raphael, e come questa fissazione l'avesse lasciato a digiuno sulle trasformazioni che il concetto di lotta di classe, l'idea di essere di destra o di sinistra e non solo il modo di fare politica, quanto il significato semantico stesso della parola politica avessero subito profondi cambiamenti negli ultimi quaranta anni. Certo anche Alex, se avesse votato, all'epoca non aveva ancora raggiunto l'età dettata dalla legge affinché potesse esprimersi con il voto, avrebbe dato la preferenza all'ormai scomparso PCI, seguendo e rispettando in questo modo la tradizione proletaria che veniva dal lato paterno della famiglia, bisnonno compreso. 

Il nonno paterno, invece, rappresentò una pausa generazionale sia per l'interesse verso la politica e la lotta di classe e sia verso l'istituzione della famiglia. La sua principale attività consisteva nel buttarsi alle spalle i sensi di colpa, caso mai ne avesse avuti, per aver abbandonato moglie e figli in tenera età e del suo rincorrere donne da portare a letto. Quindi, Raphael ed Alex, condividevano la medesima ideologia politica, ciò che invece li allontanava era il diverso approccio che i due compagni riservavano alla questione della lotta di classe. Raphael ne faceva quasi una questione di stato, anzi per lui era una questione di stato, la Russia era la Grande Madre Russa (a lettera maiuscola così come l'avrebbe scritto lui), Lenin era il grande Lenin, e seguendo personalissimi quanto discutibili costrutti mentali sulla relazione tra progresso sociale, il comunismo e la felicità degli individui, senza dimenticare, chiaramente, di sostare nei pressi di Marx, giungeva alla lontana Cina per elogiare un altro grande storico rosso personaggio: Mao Tze Tung. “Qui”, in Cina, di fronte al grande Mao, il borioso Raphael, affermava “si ferma l'orologio”. La sua abitudine di disegnare simboli di falce e martello su qualsiasi materiale in grado di farsi scalfire era oltremodo invasiva, addirittura virale. I banchi e le sedie della scuola che ebbero la sfortuna di offrirgli un appoggio erano rimasti indelebilmente offesi dal suo desiderio di diffondere i simboli della lotta di classe. Alex invece, essendo figlio di operaio semplice consumato dalla catena di montaggio della FIAT, aveva un atteggiamento più proletario, ne sapeva qualcosa di più del padre, ma giusto un po', la differenza, forse, stava, nel fatto che esprimeva in lingua italiana più che nel dialetto del sud, gli stessi concetti paterni, riguardo alla lotta tra sindacati e padrone. 

Comunque Raphael si è sempre difeso, rispetto alle meritate insufficienze che portava a casa in fisica, geometria e a volte anche in matematica, mettendo avanti che gli interessavano, soprattutto, le materie letterarie, per quelle tecniche ci sarebbe stato tempo opportuno per imparare. Questa efferata modalità di apprendimento era appoggiata anche dalla prof di italiano. Alex la teneva in grande stima, alla pari del professore e quindi, tale comportamento, non comprendendone la natura, gli suscitava forte meraviglia, non capiva come si potesse sostenere l'astensione, o quanto meno, la sussidiarietà delle materie tecniche rispetto a quelle letterarie in un istituto dove l'obiettivo era il conseguimento di una maturità nella scienza della tecnologia dell'informazione e, a maggior ragione, non capiva come proprio la professoressa di italiano potesse esserne complice, lei che teneva così tanto al futuro e alla preparazione di ogni suo studente. Infatti, si rivolgeva alla classe con questo mantra: “Desidero fermamente che quando uscirete di qui e vi presenterete ad un colloquio nessuno, dico nessuno, dovrà discriminarvi per il fatto che proveniate da un istituto tecnico, anzi il linguaggio che userete per presentarvi nelle prove sia orali che scritte, sarà il segnale primo della vostra ottima cultura generale”. Senza nulla togliere all'importanza della letteratura, della storia e della logica, l'apprendimento delle materie tecniche era sicuramente il capitolo primo di ogni bravo studente, almeno di quella scuola.