lunedì 2 novembre 2015

Un uomo, molti amori, mille vite

Capitolo primo
Paragrafo quinto


Cespuglio di margherite giganti



La scena del sogno continua con Alex impegnato in un lungo percorso per recarsi al congresso che l'avrebbe portato per strade di campagna, viottoli a bordo di campi incolti, fino a passare per un piccolo paese, un pugno di case, dove attraverso stretti vicoli la sua camminata diventava sempre più ardua. Anche per via di un'ingombrante sedia di legno, quelle di vecchia fattura, priva di braccioli, con cui doveva segnare ogni passo che compiva. Era come se la usasse a mo' di bastone. Fin quando il cammino si svolgeva per le strade, il percorso, anche se faticoso, si rendeva fattibile, quando invece si trattava di immettersi in stretti vicoli la presenza di quella sedia diventava un vero e proprio ostacolo al proseguire. Alex era quasi giunto alla fine del paese, lo aveva attraversato quasi tutto, quando uscendo da un basso portico, di quelli che si trovano ancora nei centri storici dei piccoli centri, si trovò a fare l'equilibrista con la sua sedia, tanto era divenuto stretto il vicolo, e per di più, tra pochi metri quel vicoletto si sarebbe trasformato in una ripida scalinata che l'avrebbe portato al livello inferiore dove correva la strada principale del paese. Era una scala i cui gradini, man mano che si digradava, diventavano sempre più piccoli e le mura sempre più strette fino al punto in cui la sua sedia sarebbe sicuramente rimasta incastrata. Insieme ad Alex. “Non è proprio il caso di passarci” pensò dopo aver bene osservato la forma e lo scendere di quella scala. “Sicuramente sarò costretto a tornare indietro, tanto vale non tentare” si diceva mentre osservava la strada principale, larga e comoda, che passava a pochi metri più sotto. Perciò preferì fare retromarcia, e dalla cima della scala si rivolse come a tornare indietro ma solo per fare un giro un po' più lungo. 

Dopo un po' Alex già camminava agevolmente sulla strada sottostante, la sedia non gli era più d'impiccio, e pensare che solo qualche secondo prima quella stessa strada gli sembrava inaccessibile e irraggiungibile, e che invece solo per una piccola deviazione, adesso la si poteva percorrere in tranquillità e andare oltre. Fu a quel punto che sopraggiunse il professore a bordo di una vettura comoda e spaziosa, quella con cui è facile trasportare anche dei carichi abbondanti e ingombranti, una furgonette. Il professore dimostrava così, anche con la scelta dell'auto, di essere una persona estremamente pratica e di rifuggire tutto ciò che aveva il senso del superfluo e dell'inutile.

All'improvviso è notte, la furgonette si avvia a transitare per la strada principale del paesino e ad un certo punto il tragitto continua e si insinua in una galleria. Non era una vera e propria galleria stradale quanto una specie di grotta naturale illuminata da luci che davano alle mure e alla strada singolari riflessi di colore giallo, come se l'illuminazione provenisse da lampade a petrolio, anzi sembrava che la luce provenisse da una tecnologia ancora più primitiva. Dalle ombre che ondeggiavano sui muri pareva che il tutto fosse adornato da bastoni fissati alle pareti e impregnati da grasso di balena il che dava alla scena un senso di magia misto ad inquietudine. Ad un certo punto il cammino termina di fronte ad un garage, più che un garage sembra una grotta nella grotta il cui ingresso è chiuso da una porta basculante. La furgonette si arresta proprio davanti alla grotta, la porta si apre, e un grande spazio riempie la vista un po' stupita di Alex. 

Lì sotto era pieno di quegli oggetti tipici che si portano “giù” in garage o in cantina o in un deposito dove finiscono quelle tante cose che non riteniamo più utili e da cui, nonostante l'inutilità che rappresentano per la nostra vita, non ce ne riusciamo a staccare del tutto. Per questo le releghiamo in cantina e non le diamo al rigattiere. E' come se un legame ci unisse ancora a questi oggetti che un tempo erano rappresentativi di un pezzo della nostra vita interiore e allora continuiamo ad accumulare, accumulare e accantoniamo giù, giù, sempre più giù, oggetti di scarto, usati, rotti, mutilati. Oggetti consumati dal passato, dalla vita, oggetti che portano il segno dei nostri errori e che ancora sono per noi come cicatrici non guarite. Per questo sono là, nel cimitero del nostro inconscio, perché aspettano di essere sanate, attendono che noi decidiamo, un giorno o l'altro, di guarirle. Non riusciamo a distruggerli, questi oggetti, questi pezzi della nostra vita, potremmo bruciarli come ai tempi addietro nei rituali fuochi purificatori di Sant'Antonio o buttarli giù dal balcone, seguendo un sport nazionale oramai abbandonato, come quando l'anno giungeva alla notte di San Silvestro. Il povero santo nulla c'entrava con il nostro desiderio di fare spazio, era soltanto un gesto, quello di buttare giù, che avrebbe permesso al nuovo di entrare nella nostra vita alla pari di quel nuovo anno che rinasceva, anche solo dal calendario, in un primo istante di un primo giorno di un primo mese per ripetere l'eterno ciclo del tempo. Era solo un rito, anche quello, un mistificatorio rito, ma non per questo privo di importanza e di significato per il nostro inconscio collettivo. 

Così era la cantina del professore, piena, anzi strapiena e, conoscendolo, non avrebbe potuto essere diversamente. Prima di arrivare alla grotta del professore, durante il tragitto nella furgonette, era avvenuto un fatto strano. Il professore, mentre era alla guida, aveva posato un braccio sulle spalle di Alex, e sorridendo aveva detto “Eh Alex, la conferenza di stasera, la parte di assistente, e adesso ti trovo per puro caso a chiedere un passaggio. Proprio amore a prima vista, il nostro, un vero colpo di fulmine. No?”. A tali parole Alex rimase alquanto imbarazzato ma bastò la risata del professore per fargli intendere che quella frase era solo un'altra delle sue battute, buttata là per adeguarsi a quel suo modo di essere anticonformista. “Scherzavo!” disse il professore. Così dicendo la mano del professore ritornò sul volante lasciando Alex libero di fare un bel respiro di sollievo. Nella caverna il professore si prodigò in una scena in cui per mostrare come alcuni suoi colleghi si stavano preparando a quella serata. Per interpretare la loro ansia per quell'attesa si mise in bocca 4/5 sigarette, sottolineando in tale modo come stavano affrontando il nervosismo pre-serata, e poi, come mostrando il lato buffo della situazione, sputò d'un colpo per terra le sigarette e con una fragorosa risata si spinse all'indietro sulla quella vecchia poltrona abbandonata alzando gambe e braccia come un bambinone e mostrando le mani a pugno in segno di vittoria. 

Un' altra persona aveva assistito silenziosamente a questa scena di gaudio e la presenza di un altro spettatore, oltre ad Alex, sicuramente aveva incitato il professore a quella rappresentazione a dir poco teatrale. L'altro rimaneva in silenzio, in un angolo leggermente meno illuminato rispetto al resto del deposito-grotta. Alex, nonostante non lo vedesse in volto e fosse avvolto da leggera ombra, lo percepì comunque come uno spirito buono. L'ultimo show del professore consistette nel disfarsi delle scarpe sfregando i talloni l'uno contro l'altro e, facendole volare da sopra alla furgonetta, si apprestò, a suo dire, alla ricerca dell'elegante abito necessario alla serata. Fu allora che si rivolse ad Alex con uno sguardo sorridente quasi a volergli dire: “Keep calm and relax”. 


Dal balcone della cucina, anche senza affacciarsi si poteva vedere il traffico delle autovetture che, a quell'ora del mattino, era più che scorrevole. Entro pochi muniti anch'egli sarebbe stato parte di quel flusso di automobili per giungere al suo ufficio nei pressi della Nomentana. “Certo” si disse Alex dando fine al fondo della sua tazza, ritornando alla realtà e ripensando ancora a quell'annuncio (Voglio una relazione seria), “Ci sono vari modi di intendere la serietà”. Anche il professore era, in cattedra, nei consigli, con i colleghi, una persona che teneva ai valori e soprattutto al rendimento degli allievi. E non per questo, a dispetto del parere degli avversi colleghi, che proprio non digerivano il suo humour, non fosse una persona seria. Anzi, certamente era il più serio di tutti.



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