Una diarioterapia
particolare: l'autobiografia.
Avevo un sogno nel cassetto:
scrivere un libro. Iniziai a scriverlo il 14 maggio del 2014, era il
plenilunio e mi dissi che l'avrei terminato entro il plenilunio
successivo. E così feci. Erano anni che scrivevo, che tenevo agende,
memorie su block notes, computisterie, quaderni piccoli e grandi. Da
circa due/tre anni però il desiderio di realizzare un'opera completa
mi agitava, a volte mi ossessionava. Avevo scritto (dopo il cancro
alla laringe) dei piccoli quaderni a tema a cui avevo dato il titolo
Quintochakra. Chi li leggeva rimaneva entusiasta e mi faceva i
complimenti. Ma desideravo qualcosa di più. Avevo già fatto un
tentativo di mettere insieme vari scritti appartenenti ad epoche
diverse della mia vita, avevo provveduto anche a dare loro una forma
così che sembrasse un tutt'uno. Un mio amico tipografo più volte
aveva rilegato i miei “esperimenti” ma c'era qualcosa che non
andava. Rileggevo, rileggevo, e nonostante i singoli pezzi fossero
fruibili a leggere, il metterli insieme e riunirli in una sola opera
mi sembrava stonato. Tentai anche di estrapolare, tra i tanti
racconti, qualcuno più lungo e che avesse una trama, per cercare di
“allungarlo” e farlo diventare un libro, ma non ci riuscìì.
Ogni storia come fosse un pezzo della mia vita e obbedisse
all'assioma che il passato è passato e non si può cambiare, non si
“faceva” trasformare, manipolare. Quando mi resi che non avevo
scelta e che se intendevo realizzare un'opera completa, degna di tale
nome, avrei dovuto farla da capo, ex-novo, incominciò il vero
“lavoro” della diarioterapia.
Inconsciamente e
inconsapevolmente stavo mettendo a fuoco il D.I. Di Progoff. Quegli
scritti erano le sezioni che riportavano diligentemente i vari
aspetti di me. Alcuni riguardavano le mie esperienze lavorative,
altri dei momenti importanti della mia formazione in counseling, e
poi c'erano poesie, riflessioni sulla vita e sul destino. Una lettera
che conservo molto gelosamente, e che consegnai al destinatario,
riguarda uno scritto per il mio primogenito. Avevamo litigato e mi
sentivo in colpa per come reagii a quello che, con il senno di poi,
considerai come un naturale comportamento di affermazione e di
ricerca istintiva della propria individualità. Avevo anche lettere
d'amore (consegnate) scritte alla madre dei miei due figli. Le
valigie erano piene zeppe.
Cominciai a guardare tutto il
lavoro (e sì perché adesso quegli scritti erano per me strumenti di
lavoro – un distacco emotivo si andava via via affermando come per
dichiarare aperta la sezione della sintesi del d.i.) svolto fino a
quel momento come un esercizio. “Mi sono allenato” mi dicevo.
“Questi scritti sono la mia esperienza” ripetevo osservandoli
come chi, arrivato alla stazione, getta uno sguardo alle due valigie
in cui ha messo tutto ciò che gli occorre, e attende con ansia il
treno, carico di aspettative per il viaggio che sta per iniziare. Per
il nuovo viaggio.
Quando iniziai a scrivere non
immaginavo che strada facendo avrei raccontato la mia vita, non
immaginavo che in quelle 170 pagine avrei ri-voltato tutta la mia
esistenza. Pensavo che sarebbero state lo spunto per raccontare una
storia nuova senza immaginare che quella storia “nuova” sarebbe
stata la “mia storia”. In effetti sarebbe stata nuova lo stesso:
un nuovo punto di vista, di sicuro.
Il metodo che utilizzai fu
molto semplice. In quelle 4 settimane che impiegai per redigere il
libro prendevo nota a penna dei fatti salienti della giornata
(dovunque andavo avevo sempre con me un quaderno e una penna), li
riportavo a computer, li rileggevo e poi li arricchivo con le mie
memorie. Mi sono trovato così a costruire una storia sospesa tra
presente e passato. Tutta vera, tutta reale, incastonando gioie e
dolori. Creai personaggi fittizi, ma veramente esisti nel mio
passato, e ricollocai la loro figura e funzione secondo gli effetti
generati nel mio presente. Del mio passato non buttai nulla,
delusioni, abbandoni, dispiaceri, aspettative, amori, gelosie, tutto
fu degno di entrare nella mia storia.
Riuscii a dare una struttura
matematica, un'armonia, a questo scritto. Ho conseguito comunque una
maturità in Informatica. Decisi che ogni capitolo sarebbe stato di 8
pagine e che avrei scritto 21 capitoli in tutto. Nel mio libro si
racconta un giorno, uno soltanto, dalla mattina al tramonto, vissuto
dal protagonista, e mentre le ore avanzano, tutta la sua vita scorre
davanti ai suoi occhi. Il tutto avviene in mezzo a faccende
quotidiane come il lavoro, gli appuntamenti, i figli, un giorno
normale, come tanti, ma che diventa speciale per il protagonista che
alla fine della giornata, come riprendendo i numerosi flash-back che
quel giorno l'hanno trasportato indietro nella memoria da dove, ogni
volta, tornava con un briciolo di consapevolezza in più, giunge ad
una consapevolezza ancora più grande, più profonda. Guardando la
luna piena, alla fine di quella giornata, si riprende il suo Bambino
ferito, se l'ho mette accanto, e piange insieme a lui. Questa volta
sono lacrime di una ritrovata presenza, di un ri-trovare quelle parti
smarrite che tutti ben conosciamo.
Un aspetto importante del mio
libro è l'intreccio tra il corso di counseling (quando scrivevo ero
al terzo anno e riprendevo dopo una sosta, per via del cancro, di tre
anni), la storia della mia famiglia di origine, con i suoi segreti
(finalmente confessati e svelati nelle mie pagine), la lontananza di
mio figlio (che trascorreva in Argentina un'esperienza scolastica
extraeuropea), i colloqui di counseling con i primi clienti e
l'esperienza religiosa-spirituale che avevo vissuto negli ultimi 6/7
anni (compiuta mentre praticavo il Buddhismo). Quest'ultima ha molto
segnato, nel bene, il mio cammino di crescita.
Desidero adesso analizzare i
miei scritti e mostrare come è possibile intravedere il ciclo della
gestalt che, strutturando il racconto, si srotola sistematicamente
nelle fasi del precontatto, contatto, contatto pieno e post-contatto.
Chiaramente è un'analisi che faccio al momento, nel qui ed ora di
questa tesi, perché mai mi sarei immaginato di scrivere secondo il
ciclo della gestalt, seppur inconsapevolmente, questo è quel che è
avvenuto. Ne debbo convenire, così come anche gli studi di Progoff
dimostrano, che esiste un ciclo nel raccontarsi, e che la scrittura
testimonia fedelmente, in cui i pensieri piano piano, estraniandosi
dalla realtà, scivolano verso quella parte di noi che che
rappresenta il cuore della storia, della narrazione, la esplorano, e
da lì poi risalgono di nuovo alla realtà.
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