La struttura gestaltica della
narrazione.
Per approfondire questo appena
detto riporterò qualche pagina del mio libro, L'Intuizione. Voglio
iniziare dal primo capitolo per evidenziare come già fin dall'inizio
il racconto segue un suo movimento, dove il ciclo della gestalt è
forse la teoria più significativa per quanto riguarda la ricerca di
scoprire il senso della dinamica della narrazione e di estrarne dei
significanti simbolici nelle parole e tra le parole, di ri-portare un
senso ai termini usati e restituire loro il contributo e l'apporto
che offrono al processo di awareness.
Capitolo
primo.
Josephine
aveva deciso di continuare gli studi, e per questo alla fine della
scuola dell'obbligo aveva scelto un istituto dove si sarebbe
specializzata nelle lingue. Ricordo che ne avevamo parlato molto un
anno prima, lei ed io, avrei preferito una scuola che continuasse a
formarla in quelle che, a mia ragione, consideravo materie importanti
e dalle quali lei, purtroppo, fuggiva; mi riferivo alla storia, alla
letteratura, al latino, così che se il suo desiderio di
avventurarsi nel mondo delle lingue sarebbe sopravvissuto ad una
formazione classica, ed io glielo auguravo, avrebbe avuto in questo
modo una cultura più vasta su cui poggiarsi. Ma non ci furono versi
di farle cambiare idea. Comunque non ho mai insistito più di tanto
nel portare avanti la mia tesi riguardo al percorso di studi più
adatto a lei, in effetti cercavo soltanto di farla riflettere sulla
sua decisione e di spingerla a cercarne i motivi.
Pre-contatto.
Il
racconto è leggero, descrittivo, si racconta il momento che si sta
vivendo e le inevitabili riflessioni spontanee. Ci sono molte idee e
riflessioni. Si parla di un'altra persona, mia figlia, dei suoi studi
e di quello che ci eravamo detti tempo prima a riguardo a tali studi.
Si parla di altro. Il pensiero è cognitivo organizzato. In questa
fase di pre-contatto, si riporta ciò che si pensa, le opinioni, i
concetti, e si spiega anche perché la pensiamo così (...formarla
in quelle che, a mia ragione, consideravo...).
Continuando...
Anche
quella mattina, come facevo da quasi un anno, l'accompagnai alla
fermata del bus che l'avrebbe condotta a San Sebastián dove
frequentava il Liceo Linguistico. Era una mattina di giugno, bella,
arieggiata; una leggera brezza s'intrufolava per i borghi del paese e
se ne percepiva la freschezza specie in quelli non ancora raggiunti
dai raggi del sole. Guidavo sovra pensiero e ancora un po' assonnato
quando Josephine mi disse “Papà...sai...” e iniziò a
raccontarmi della presentazione del concorso di scrittura,
organizzato al liceo, durante il quale, proprio quel giorno, avrebbe
letto l'opera migliore, quella che si sarebbe aggiudicata il primo
premio. Era, così mi diceva, anche l'ultimo giorno di scuola, il
sabato che volgeva all'indomani, tutti i suoi compagni di scuola,
compresa lei, avrebbero disertato le lezioni per trascorrere una
giornata al mare. Avrebbero festeggiato, così, tra un tuffo e giochi
da spiaggia, la fine dell'anno scolastico. Pensai di riflesso, e con
nostalgia, ai miei anni scolastici, a come io festeggiavo la fine
della scuola e l'inizio delle vacanze. Nello stesso modo di mia
figlia, in quelle larghe e sabbiose spiagge della Côte Vermeille, di
fronte a Perpignan, solo che io non l'avrei mai detto ai miei
genitori. Io al mare, ci andavo ma lo tacevo ai miei mentre speravo,
che nulla di male ci fosse accaduto, né ai miei compagni e né
soprattutto a me, durante quelle innocenti fughe ma pregne di un
inevitabile senso di colpa, come lo sono tutte le cose che si
compiono di nascosto.
Il
pre-contatto continua a srotolarsi. L'attenzione è ancora centrata
su mia figlia. Le sue esperienze (il concorso di scrittura, i
compagni, il mare). Ho approfondito il suo ultimo giorno di scuola, i
tuffi e i giochi da spiaggia. La spiaggia dove andrà mia figlia
diventa il ponte per la spiaggia (nei miei ricordi) dove andavo io.
L'attenzione viene riportata su se stessi, gradualmente, lentamente.
Gli spunti del presente sono insight per raccontare un passato o,
quantomeno, permettono al passato, di riaffacciarsi nel momento
presente. Non si racconta più di altro e di altri, ma si inizia a
narrar-SI.
I
pensieri si fanno autoreferenziali. Ci si avvia vero la fase del
contatto. Si intravede già una discesa verso il profondo: come lo
sono tutte le cose che si compiono di nascosto. Continuando...
Non
era un bel periodo, avevo tante idee ma quasi tutte erano dei
riflussi di un lontano passato. Cercavo invano di attuare un ponte
tra vecchio e nuovo, tra il mio passato e questo presente.
Riconoscevo in questo rimuginare sul da farsi una mia inclinazione ad
interessarmi al marketing, al commercio; i progetti che mi venivano
alla mente si abbellivano con abiti alla moda ma nella sostanza erano
quelli di sempre. Insomma la mia mente non riusciva a produrre niente
di innovativo e che potesse interessare altri imprenditori o
operatori commerciali. La crisi stagnava anche nel mio cervello e la
mia attività di counseling boccheggiava, le persone vedevano e
sentivano e, sicuramente, parlavano anche del mio centro. Ma coloro
che si sporgevano dalla finestra a chiedermi di cosa mi occupassi e
in che consisteva il mio lavoro erano veramente pochi. Ancora meno
erano i coraggiosi che venivano nel mio ufficio, si sedevano e si
facevano ascoltare. Erano queste, anime gentili che cercavano un vero
conforto nella vita, persone che osavano sfidarsi, chi lamentandosi e
chi combattendo, in questa partita che chiamiamo vita.
Contatto.
I
pensieri continuano ad autoreferenziarsi, l'attenzione è portata
alla propria vita e ai fatti della propria vita. Si descrive come si
sta affrontando il momento presente e si fanno collegamenti tra
passato e presente, molto veloci, come flash-back. Si sta cercando un
senso a quel che accade per trovare un focus. La natura dei pensieri
sembra voglia indirizzare il focus verso un aspetto materiale della
vita (il lavoro, il marketing). E' solo verso la fine, con l'accenno
al counseling, che l'attenzione si sposta dalla sfera materiale
(lavorativa) a quella emotiva, dove, molto probabilmente, risiede il
focus. Ekart Toll lo chiama corpo del dolore. Le interruzioni al
contatto, che ben sottintendono al pre-contatto (Era una mattina
di giugno, bella, arieggiata; una leggera brezza s'intrufolava per i
borghi del paese...) e al contatto sono evidenti (Ma coloro
che si sporgevano dalla finestra a chiedermi di ...). Continuando...
E
poi c'era l'amore per Santina. Quello che mi portavo nel cuore. Ma il
mio sentimento affogava nella solitudine. Lei era altrove, guardava e
mirava chissà dove. La sera prima, molto ma molto tardi, le avevo
scritto un'email in cui le chiedevo di essere sincera con me, la
invitavo a comunicarmi le sue riflessioni sulle mie due precedenti
lettere in cui le avevo, finalmente e coraggiosamente, confidato i
sentimenti che nutrivo per lei. Anche se nel frattempo ci eravamo
sentiti e visti, mantenendo, almeno in apparenza, una formale
cordialità, il resto era passato sottobanco, era stato abbandonato,
anzi recluso, nella stanza delle cose da non dire, perché
imbarazzano, perché non si sa come sistemarle, verbalizzarle. La
comunicazione non si era interrotta, lei continuava ad essere gentile
e garbata nei miei confronti, ma ... ma si sentiva che si era creato
una specie di buca, un vuoto che se avesse potuto parlare avrebbe
richiesto di essere riempito e portato alla realtà. O seppellito.
Contatto
Pieno.
Il
passaggio è stato repentino. La lentezza del movimento che
caratterizzava le prime due fasi di pre-contatto e contatto, ha
accelerato all'improvviso. Di colpo mi sono trovato nel dolore, nel
dolore dell'amore. Di colpo sono precipitato nel cuore dove esso
stesso diviene focus e soma dei miei sentimenti. Il pensiero si
sposta nuovamente su altro, ma non è l'altro di prima, non è altro
fuori o diverso da me. Questo altro, adesso, nel contatto pieno, è
una parte di me. E' un'estensione delle mie emozioni, perché in esso
colloco aspettative, desideri. L'altro diventa l'altro in cui
cercare quel me che ho perso. Nel contatto pieno esploro me
esplorando l'altro. I confini si allargano, le identità si
sovrappongono. E' interessante notare il termine finale seppellito,
ciò di cui parlo, di cui scrivo, sta nella terra, sta giù nel
profondo, è seppellito. Come una cosa morta. Come...ma non è morta.
Continuando...
Ecco,
in effetti la mia lettera di quella sera era una richiesta di realtà,
invitandola a parlarmi delle sue impressioni era come se volessi, da
parte sua, una presa di coscienza su quello che stava avvenendo tra
lei e me. Non dico noi, poiché questa parola presuppone uno stato
avanzato, al quale, quasi certamente non saremmo mai approdati.
Cercavo una chiarezza, non una corrispondenza affettiva ai miei
sentimenti, ma un parlare alla luce del sole. Penso che un uomo e una
donna debbano avere il coraggio di parlare anche degli aspetti
dolorosi di quello che corre tra loro. Quando dico parlare, in questo
contesto, intendo confidarsi anche ciò che fa male senza farsi male.
Le lacrime sono lacrime e i sorrisi sono sorrisi. Questa è la vita.
E questo è l'amore.
Nel
contatto pieno ci si identifica e ci disidentifica, in un movimento a
spirale e ripetitivo. Il racconto diventa mezzo assoluto e
indispensabile che chiarire, per ritrovare la propria identità
perduta, per separare il l'IO dal TU, lo sfondo dalla figura. Le
gestalt aperte si fanno sentire e chiedono attenzione, cura,
stimolando e ri-mettendo all'opera la tendenza attualizzante di
Rogers. In questa seconda fase del contatto pieno, il raggiungimento
di una maturazione (consapevolezza), passa attraverso il ritorno alla
razionalità: Quando dico parlare, in questo contesto, intendo
confidarsi anche ciò che fa male senza farsi male. Non si tratta
di giungere ad una fredda e scostante ragionevolezza, ma di
affacciarsi ad un senno saggio e benevolo, sia verso l'altro ma
soprattutto verso me. Questo è il processo di integrazione e di
guarigione con cui osservo, prendo e comprendo le mie parti di me
sparpagliate, disperse, disintegrate. Nel contatto pieno si apprende,
proprio come a scuola, il significato di ciò che ci accade: Questa
è la vita. E questo è l'amore. Continuando...
Mentre
scendevo le scale dal mio appartamento, ipotizzavo che dare avvio ad
un'associazione che offrisse servizi di consulenza finanziaria agli
imprenditori locali, potesse essere una buona idea e, giunto
nell'androne a piano terra, ero convinto della bontà di tale idea.
Ma dopo aver lasciato mia figlia alla fermata del bus ed essermi
diretto automaticamente verso il bar tabacchi dove avrei fatto
colazione e quasi sicuramente comprato contro la mia volontà un
pacchetto di gaulois bianche da 10, ebbi un'intuizione. Proprio
mentre tirare il freno a mano, come se quel gesto avesse aperto e
chiuso una connessione neuronale, un pensiero si affacciò alla mia
mente. Un po' deluso pensai che fosse un'idea come tante. Uno dei
soliti pensieri, quelli che vanno e vengono e non lasciano traccia
alcuna. Come tanti. L'ennesimo.
Post-contatto.
Il
ritorno alla realtà è evidente. Il pensiero si rivolge al presente
e l'autoreferenzialità si esprime anche in relazione al mondo che ci
circonda. L'angoscia e l'ansia sperimentata nel contatto pieno lascia
il posto a una riflessione pacata sul mondo. Il dolore perde la sua
centralità e il risorgere delle risorse (...ipotizzavo che dare
avvio ad un'associazione...) ci propone alla nostra individualità
e specificità. L'attenzione, nuovamente, compie un altro movimento:
si sposta dalle emozioni interne sperimentate nel contatto-pieno ai
fatti pratici. Si tirano delle conclusioni, non buone, non cattive,
si tirano e basta. E con questo basta ci facciamo i conti. E' il
momento in cui la domanda del counselor: come ti senti? non sembra
più tanto stupida, non sembra più inappropriata, come a volte viene
da considerare. Adesso, più di prima, si riesce a dire come ci si
sente. Riporto questa frase intermedia ...e quasi sicuramente
comprato contro la mia volontà un pacchetto di gaulois bianche da
10, ebbi un'intuizione L'Io (l'intuizione) ha ritrovato L'Es (il
desiderio di fumare contro la mia volontà). Nel post contatto l'Io
ha ritrovato l'Es.
Riprendendo
il filo, già accennato innanzi, che tutti i racconti seguono
inevitabilmente un percorso gestaltico e percependo che ogni racconto
contiene a sua volta altri racconti per giungere ad altri mondi, mi
viene da dire, che il racconto fotografa le gestalt e riponendole
nella scrittura, le riporta alla luce. Esse sono lì, su un foglio
bianco, impietose, nude e crude. Ritengo significativo riportare
l'inizio dell'ultimo capitolo per allargare l'orizzonte di ciò che
intendo sottintendere a questo concetto.
Già
le prime battute la dicono lunga sul mio stato d'animo, sul desiderio
di ritornare alla vita reale, di andare per il mondo con questa nuova
consapevolezza di me e anche con una sana aspirazione di metterla in
pratica.
Capitolo
ventunesimo.
Era giunto il momento di concludere. Terminare, chiudere, mi risultava sempre difficile. In una chiusura è necessario dare un senso a quello che è stato, alle emozioni che si sono mosse, ai transfert che si sono attivati.
Era giunto il momento di concludere. Terminare, chiudere, mi risultava sempre difficile. In una chiusura è necessario dare un senso a quello che è stato, alle emozioni che si sono mosse, ai transfert che si sono attivati.
Per
chiudere bene bisogna ritornare all'inizio del racconto per
ritrovarne i fili conduttori che hanno sostenuto lo svolgersi del
pensiero narrante, attraverso cui le specificità dei personaggi, con
avventure e le metafore, svelano la favola in tutto il suo
insegnamento. Offrire un ruolo ai personaggi è dare un senso e un
significato alla loro stessa esistenza e alle connessioni con il
protagonista narrante.
Quel
venerdì si sarebbe stampato nella mia memoria poiché, finalmente,
avevo ripreso ciò che era disorganizzato e staccato da me, avevo
dato un senso ad ogni voce così che il tutto risultasse un coro
armonico. Non ero più una meteora sfrecciante nel vuoto siderale in
balia di occasionali forze gravitazionali ma un pianeta che orbitava
intorno alla sua stella.
Erano
trascorsi otto giorni da quella mattina in cui la mia intuizione
aveva trasformato non poco la mia vita, dandomi modo di raccordare,
legare, sciogliere, varie situazioni, pensieri, idee, così da
restituirmi un senso di armonia e di benessere interno...
Scrivere
questo libro per me ha significato riprendere la mia vita, tutta,
senza buttare via niente, sono riuscito a riorganizzarla (Non
ero più una meteora sfrecciante nel vuoto siderale in balia di
occasionali forze gravitazionali ma un pianeta che orbitava intorno
alla sua stella.),
mi sono precipitato nel cimitero del mio inconscio (Hillman). Lì ho
trovato pezzi di me morti, agonizzanti (...avevo
ripreso ciò che era disorganizzato e staccato da me,..),
che chiedevano disperatamente di tornare alla vita. Non si può
vivere in un cimitero, dice Hillman, è angosciante. Ho avuto
coraggio e ho dato una mano ad ogni parte di me che soffriva per
aiutarla a rialzarsi. Ho sentito che il ciclo della gestalt si
compiva, dall'inizio alla fine del libro è stato un ciclo completo,
e in ogni capitolo un miniciclo si compiva nuovamente. Scendevo e
salivo giù e dentro di me. E quando tornavo ero sempre più ricco,
sentivo di chiudere gestalt aperte da millenni. Ho dimostrato a me
stesso che potevo farlo, e l'ho fatto, e questa tesi è nuovamente un
punto di arrivo e di ri-partenza al contempo. Non immaginavo, quando
lo scrissi, che il mio libro si sarebbe intrecciato, nuovamente, con
la mia formazione di counselor.
Ma
l'evidenza mi dice che sbagliavo, e mi dice che la vita ci da sempre
più di quel che ci aspettiamo.
La mia esperienza - 5/5
La mia esperienza - 5/5
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