lunedì 18 maggio 2015

Diarioterapia: La mia esperienza - 3/5


Una diarioterapia particolare: l'autobiografia.

Avevo un sogno nel cassetto: scrivere un libro. Iniziai a scriverlo il 14 maggio del 2014, era il plenilunio e mi dissi che l'avrei terminato entro il plenilunio successivo. E così feci. Erano anni che scrivevo, che tenevo agende, memorie su block notes, computisterie, quaderni piccoli e grandi. Da circa due/tre anni però il desiderio di realizzare un'opera completa mi agitava, a volte mi ossessionava. Avevo scritto (dopo il cancro alla laringe) dei piccoli quaderni a tema a cui avevo dato il titolo Quintochakra. Chi li leggeva rimaneva entusiasta e mi faceva i complimenti. Ma desideravo qualcosa di più. Avevo già fatto un tentativo di mettere insieme vari scritti appartenenti ad epoche diverse della mia vita, avevo provveduto anche a dare loro una forma così che sembrasse un tutt'uno. Un mio amico tipografo più volte aveva rilegato i miei “esperimenti” ma c'era qualcosa che non andava. Rileggevo, rileggevo, e nonostante i singoli pezzi fossero fruibili a leggere, il metterli insieme e riunirli in una sola opera mi sembrava stonato. Tentai anche di estrapolare, tra i tanti racconti, qualcuno più lungo e che avesse una trama, per cercare di “allungarlo” e farlo diventare un libro, ma non ci riuscìì. Ogni storia come fosse un pezzo della mia vita e obbedisse all'assioma che il passato è passato e non si può cambiare, non si “faceva” trasformare, manipolare. Quando mi resi che non avevo scelta e che se intendevo realizzare un'opera completa, degna di tale nome, avrei dovuto farla da capo, ex-novo, incominciò il vero “lavoro” della diarioterapia.
Inconsciamente e inconsapevolmente stavo mettendo a fuoco il D.I. Di Progoff. Quegli scritti erano le sezioni che riportavano diligentemente i vari aspetti di me. Alcuni riguardavano le mie esperienze lavorative, altri dei momenti importanti della mia formazione in counseling, e poi c'erano poesie, riflessioni sulla vita e sul destino. Una lettera che conservo molto gelosamente, e che consegnai al destinatario, riguarda uno scritto per il mio primogenito. Avevamo litigato e mi sentivo in colpa per come reagii a quello che, con il senno di poi, considerai come un naturale comportamento di affermazione e di ricerca istintiva della propria individualità. Avevo anche lettere d'amore (consegnate) scritte alla madre dei miei due figli. Le valigie erano piene zeppe.
Cominciai a guardare tutto il lavoro (e sì perché adesso quegli scritti erano per me strumenti di lavoro – un distacco emotivo si andava via via affermando come per dichiarare aperta la sezione della sintesi del d.i.) svolto fino a quel momento come un esercizio. “Mi sono allenato” mi dicevo. “Questi scritti sono la mia esperienza” ripetevo osservandoli come chi, arrivato alla stazione, getta uno sguardo alle due valigie in cui ha messo tutto ciò che gli occorre, e attende con ansia il treno, carico di aspettative per il viaggio che sta per iniziare. Per il nuovo viaggio.
Quando iniziai a scrivere non immaginavo che strada facendo avrei raccontato la mia vita, non immaginavo che in quelle 170 pagine avrei ri-voltato tutta la mia esistenza. Pensavo che sarebbero state lo spunto per raccontare una storia nuova senza immaginare che quella storia “nuova” sarebbe stata la “mia storia”. In effetti sarebbe stata nuova lo stesso: un nuovo punto di vista, di sicuro.
Il metodo che utilizzai fu molto semplice. In quelle 4 settimane che impiegai per redigere il libro prendevo nota a penna dei fatti salienti della giornata (dovunque andavo avevo sempre con me un quaderno e una penna), li riportavo a computer, li rileggevo e poi li arricchivo con le mie memorie. Mi sono trovato così a costruire una storia sospesa tra presente e passato. Tutta vera, tutta reale, incastonando gioie e dolori. Creai personaggi fittizi, ma veramente esisti nel mio passato, e ricollocai la loro figura e funzione secondo gli effetti generati nel mio presente. Del mio passato non buttai nulla, delusioni, abbandoni, dispiaceri, aspettative, amori, gelosie, tutto fu degno di entrare nella mia storia.
Riuscii a dare una struttura matematica, un'armonia, a questo scritto. Ho conseguito comunque una maturità in Informatica. Decisi che ogni capitolo sarebbe stato di 8 pagine e che avrei scritto 21 capitoli in tutto. Nel mio libro si racconta un giorno, uno soltanto, dalla mattina al tramonto, vissuto dal protagonista, e mentre le ore avanzano, tutta la sua vita scorre davanti ai suoi occhi. Il tutto avviene in mezzo a faccende quotidiane come il lavoro, gli appuntamenti, i figli, un giorno normale, come tanti, ma che diventa speciale per il protagonista che alla fine della giornata, come riprendendo i numerosi flash-back che quel giorno l'hanno trasportato indietro nella memoria da dove, ogni volta, tornava con un briciolo di consapevolezza in più, giunge ad una consapevolezza ancora più grande, più profonda. Guardando la luna piena, alla fine di quella giornata, si riprende il suo Bambino ferito, se l'ho mette accanto, e piange insieme a lui. Questa volta sono lacrime di una ritrovata presenza, di un ri-trovare quelle parti smarrite che tutti ben conosciamo.
Un aspetto importante del mio libro è l'intreccio tra il corso di counseling (quando scrivevo ero al terzo anno e riprendevo dopo una sosta, per via del cancro, di tre anni), la storia della mia famiglia di origine, con i suoi segreti (finalmente confessati e svelati nelle mie pagine), la lontananza di mio figlio (che trascorreva in Argentina un'esperienza scolastica extraeuropea), i colloqui di counseling con i primi clienti e l'esperienza religiosa-spirituale che avevo vissuto negli ultimi 6/7 anni (compiuta mentre praticavo il Buddhismo). Quest'ultima ha molto segnato, nel bene, il mio cammino di crescita.

Desidero adesso analizzare i miei scritti e mostrare come è possibile intravedere il ciclo della gestalt che, strutturando il racconto, si srotola sistematicamente nelle fasi del precontatto, contatto, contatto pieno e post-contatto. Chiaramente è un'analisi che faccio al momento, nel qui ed ora di questa tesi, perché mai mi sarei immaginato di scrivere secondo il ciclo della gestalt, seppur inconsapevolmente, questo è quel che è avvenuto. Ne debbo convenire, così come anche gli studi di Progoff dimostrano, che esiste un ciclo nel raccontarsi, e che la scrittura testimonia fedelmente, in cui i pensieri piano piano, estraniandosi dalla realtà, scivolano verso quella parte di noi che che rappresenta il cuore della storia, della narrazione, la esplorano, e da lì poi risalgono di nuovo alla realtà.

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