La diarioterapia: cenni storici e fondamenti.
La
Diarioterapia è una tecnica
di autoanalisi messa a punto da Ira Progoff (1921-1998), basata sulla
scrittura di un diario intensivo (come lo chiama lui), utile per
superare le inibizioni ed i blocchi psichici ed agire in modo
adeguato per modificare al meglio la propria vita. Per
P. il diario scritto tutti i giorni deve essere rielaborato, in un
secondo tempo, ricorrendo alla scrittura creativa. Tale tecnica si
trasformerebbe in un formidabile mezzo di autocoscienza. Il
D.I. si presenta come un metodo strutturato in maniera tale da
permettere di attingere al contenuto dei moventi profondi e desideri
nascosti che albergano in ogni individuo. Con la tecnica di P. è
possibile una analisi di se stessi, per osservarsi e confrontarsi al
meglio delle possibilità, proprio secondo la ben nota frase “conosci
te stesso”. P.,
americano, fondatore del Dialog House di New York City, si è fatto
anche conoscere per la diffusione del pensiero
junghiano alla gente comune pubblicando numerosi tesi sulle teorie di
Jung. P.
ha iniziato ad esplorare metodi psicologici per la creatività e
l'esperienza spirituale nelle loro applicazioni sociali nei primi
anni 1950. La sua tesi di dottorato nel campo della storia sociale
delle idee presso la New School era sul lavoro di CG Jung. Nel 1953,
la tesi è stata pubblicata in copertina rigida da Julian Press come
Psicologia
di Jung e il suo significato sociale.
Le edizioni successive sono state pubblicate dalla Grove Press,
Anchor/Doubleday, e Dialog House. Dopo aver ricevuto il suo
dottorato, P. si è aggiudicato una borsa di studio Bollingen e ha
studiato privatamente con Jung in Svizzera. Questo
lavoro ha portato ad una ricostruzione della psicologia del profondo,
in termini di lavoro successivo di Freud, Adler, Jung, e Rank in La
morte e la rinascita di Psicologia
e una prima dichiarazione di Holistic
Profondità Psicologia in profondità Psicologia e l'uomo moderno.
Nel 1963, P. ha presentato il metodo di Psiche
Evocando in simbolico e reale.
Nel 1966, P. trasse dai principi descritti in questi libri per
introdurre il metodo Intensive
Journal
dello sviluppo personale, l'innovazione per la quale è più
ricordato. Si tratta di un sistema non analitico e integrativo per
evocare e interrelazionare il contenuto di una vita individuale. P.
ha scritto due libri che descrivono il metodo: Workshop
Journal
e The
Practice of Process Meditation.
La popolarità del sistema si diffuse rapidamente.
La
diarioterapia, simile per l'aspetto di autoanalisi e di
rielaborazione del vissuto alla fototerapia, permette al cliente
un’esplorazione potenzialmente infinita delle epoche di una vita.
Il proposito della redazione del diario come esercitazione della cura
di sé è quello di recuperare le figure della memoria,
dell’immaginario che nel tempo attivano o riattivano comportamenti
e modi
di essere.
L'obiettivo è, come sempre per tutte le tecniche di counseling,
quello di imparare a riconoscere il loro insorgere nel presente
per procedere verso il futuro
guardando con accettazione e benevolenza
al
passato.
La scrittura del diario ha una sua metodica
ed
in quanto tale si configura come un potente strumento per
intraprendere questo percorso di riappropriazione di sé, in
particolare attraverso quelle che P. chiama guide
di retroazione (spontanei
rimandi alle varie coloriture dell’esistenza). Le specifiche
sezioni di diario sono costantemente modulate dalla figura del
dialogo,
sia esso con la società, i lavori, i sogni, le figure di saggezza,
le immagini crepuscolari, i ricordi, o una vita non vissuta. La
presenza dell'altro in uno spazio
libero dove
ognuno trova la propria dimensione meditativa, tra movimento e
postura localizzata, contribuisce a definire le intenzioni
trasformative di questa esperienza.
Un
momento in cui la D. produce benefici consistenti è durante
l'adolescenza. Questo periodo di sviluppo,
caratterizzato da grandi cambiamenti, nel corpo come nella psiche, si
offre come terreno fertile alla pratica della D. In questo momento
della vita la costruzione della personalità assume un impegno
psicologico molto forte, addirittura stressante. Poiché un aspetto
interessante della D. è quella di scaricare la tensione, scrivere
può rappresentare un diversivo, un guardare altro da ciò che il
presente pressantemente chiede; potrebbe anche essere un guardare
oltre, tenere un diario rappresenta un buon sistema per far fronte
alle situazioni di stress che i giovani si trovano spesso a vivere.
Sembrerebbe
che anche gli anziani e in particolare i malati di alzheimer, quando
ci riescono, possano trarre benefici dalla pratica dello scrivere. I
poteri intrinsechi della scrittura nel mantenere in attività alcune
aeree cerebrali è senza dubbio ovvia e non ha bisogno di
approfondimenti, se non per soddisfare una “fame” di natura
scientifica. Per questo motivo mantenere allenata la mente, spingerla
a ricordare e a ricordarsi, è sicuramente una buona attività per le
persone anziane, e insieme ad una moderata attività fisica, può
indubbiamente apportare una serenità e una chiarezza di spirito e
confortare l'ultimo periodo della nostra vita. Sappiamo tutti che
anche leggere è un ottimo esercizio per tenere allenata la mente e
la maggior parte di noi è consapevole che una caratteristica comune
a molti centenari è proprio il loro rapporto con il leggere e lo
scrivere.
Adolescenti,
anziani, si certo, ma anche gli adulti possono ricorrere alla
D. per riordinare le loro idee, per meglio descrivere il futuro, per
organizzare un progetto. Il segreto dello scrivere, uno dei tanti, è
che la nostra mente, in quel preciso istante, nel fatidico qui ed ora
del passaggio del pensiero dalla mente alla carta, lo rielabora. Non
appena il pensiero prende forma, disegno, dimensione, sulla carta, il
nostro occhio lo ri-vede e la nostra mente lo ri-flette e i neuroni
lo ri-elaborano. Ed è proprio questa rielaborazione che permette a
questa semplice tecnica di offrire un setting dove portare, con
calma, con il nostro tempo, secondo le nostre volontà, ciò che ci
sta a cuore, sia esso dolore, sia esso gioia. Il diario diventa il
counselor che ci ascolta e in questo processo in cui i pensieri, le
ansie, le speranze, prendono forma, la scrittura diviene la
riformulazione silenziosa, eco, semplice e chiarificatrice che ci fa
attraversare lo spazio della forma (secondo la gestalt) dalla figura
allo sfondo.
Quindi
adolescenti irrequieti, adulti alla ricerca, anziani consapevoli,
tutti possono trarre benefici dalla scrittura. Non posso non
menzionare, adesso che mi viene in mente, le lettere di amore scritte
e mai spedite che molti di noi (spero di non essere stato il solo a
fare questa esperienza) hanno poi rimesso in un cassetto, posate
nella memoria, dimenticate e ritrovate. Alcune sono state stracciate,
lacerate, strappate, come forse lo era stato il nostro cuore. Anche
questa è terapia, anche questa è rappresentazione e trasformazione,
sublimazione di un dolore. Non ci insegnano forse nella gestalt a
rappresentare la sedia vuota? Non ci insegnano a simulare facendo
finta che è vero? E non diventa vero quel che facciamo per finta?
Così la scrittura diventa vera e a sua volta viva, perché anche se
giriamo quelle pagine, anche se chiudiamo il libro, anche se non
torneremo mai più a legger-ci, anche se avremo dimenticato di aver
scritto, quello scritto rimarrà dentro di noi, più vivo che mai.
Anche in questa modalità si vede chiaro che il benessere non passa
attraverso il dimenticare, la scrittura non serve a seppellire i
ricordi e le macerie della vita, ma è un sistema per rielaborare il
vissuto, per riportare alla vita quelle parti morte di noi.
La
D. come parte della psicoterapia narrativa viene bene descritta da
Filippo Mittino:
La
capacità di narrare può essere intesa come una funzione mentale
(Blandino 2009;Maggiolino 2011). Le parole di Hillman e quelle di
Calvino poste in esergo offrono uno spazio di riflessione
fondamentale per introdurre questa argomentazione. Hillman (1983)
chiarisce la natura della mente umana, sostiene che non è fondata
sulle microstrutture del cervello o sul linguaggio, ma sull'insieme
di quelle storie supreme che costituiscono i modelli dell'agire
umano: i miti. Questi sono schemi esemplari che permettono di
interpretare aspetti della vita di tutti i giorni; gli antichi
facevano spesso di questi racconti per illustrare dinamiche
dell'animo umano, che, diversamente, non sarebbero state colte. I
miti sono caratterizzati da una struttura aperta, nel senso che le
storie che abitano la mente umana, come fossero un'eredità o un
patrimonio comune a tutti, possono essere combinate e ricombinate per
dar vita a storie originali volte a spiegare la vita di ciascuno
(Lévi-Strauss 1978). Calvino (1983), poi, illustra la ragione per
cui l'uomo è portato a raccontare: lo fa per rendere rappresentabile
qualcosa che diversamente rimarrebbe sconosciuto e per liberare
quelle idee, quelle emozioni che senza sosta bussano alla porta del
“tabernacolo della nostra mente” (Fornari 1969). dalle parole di
questi due autori emerge come la funzione narrativa sia tipica di
ogni individuo e come il narrare sia un atto fisiologico quasi come
il respirare. La narrazione, intesa come racconto di storie, è vista
quindi come fondamentale per dare un'organizzazione al proprio mondo
interiore, per imparare ad attribuire significati all'esperienza
umana.
Per
Freud la scrittura è una
modalità di sublimare le proprie nevrosi. Raccontare e raccontarsi è
un atto curativo-riparativo. Il testo è per lo scrittore
l'equivalente del sintomo per il nevrotico. Jung insiste sul fatto
che la scrittura è una finalità sana dell'essere umano. Rank
afferma che sia lo scrittore che il nevrotico cercano nuove immagini
di Sé: il nevrotico attraverso i sintomi, lo scrittore attraverso le
sue opere. Quest'ultimo aspetto penso si possa estendere anche ad
altri artisti oltre agli scrittori, e quindi a pittori, scultori,
poeti, compositori...Maslow, giustamente, afferma che la scrittura è
un mezzo utile (motivazione) al processo di autorealizzazione.
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