lunedì 18 maggio 2015

Il Counseling e il Sé: I principi della filosofia umanistica 1/3


I principi della filosofia umanistica.

Mi sembra doveroso, a questo punto, considerato il titolo della tesi e il contesto didattico in cui si dibatte, descrivere le dinamiche che legano il counseling, il Sé e la diarioterapia.
Il counseling è un “tentativo”, molto ben riuscito, a dire il vero, uno dei più potenti, di portare benessere nella vita delle persone. Tutte le scienze, o pseudo tali, riguardanti la natura dell'essere, e che si dedicano ad una sfera dell'essere umano, come la medicina, la psicologia, l'alimentazione, lo sport, sono rivolte alla produzione di “benessere”. Il counseling stesso è inserito in un contesto di salutogenesi. Ogni disciplina ha sviluppato delle peculiarità e prodotto benefici importanti nella nostra esistenza; la stessa religione, in un certo qual modo, cerca di portare beneficio alla nostra dimensione spirituale, anche se, a mio avviso, i confini tra religione e spiritualità si vanno via via assottigliando. La spiritualità sta invadendo piano piano aspetti sempre più importanti della vita delle persone, e la religione, con le sue regole, con i suoi dogmi, sembra stia perdendo terreno. Il sistema della liturgia e il complesso delle assemblee gerarchiche producono sempre meno benefici nella sfera spirituale (e psicologica) degli individui, cedendo così il passo a sistemi di pensiero più vicini ai bisogni delle persone e per questo sicuramente più funzionali.
In ambito psicologico, gli effetti derivanti dallo sviluppo della psicanalisi, nata con Freud alla fine del XIX secolo, ha portato sempre più persone a cercare di “capire” le fonti del loro malessere, spingendole ad avventurarsi nei meandri delle loro menti per carpirne le cause. Fin dall'inizio la psicoanalisi era rivolta esclusivamente ai malesseri del mondo psichico; le attenzioni di Freud, infatti, erano dedite a “risolvere” quelle che all'epoca la medicina considerava malattie della mente (del cervello, dell'encefalo) e nei cui riguardi (la medicina) nutriva un forte senso d'impotenza. Freud si laureò in medicina nel 1881 e già i suoi interessi per la teoria darwiniana, uniti al lavoro da ricercatore presso il laboratorio di zoologia di Carl Claus, denotavano uno spirito affamato di sapere, di conoscenza, che unito ad una nota ambizione di fama immediata, lo portavano a spingersi sempre un po' più in la rispetto ai suoi colleghi. Se così non fosse stato non staremmo oggi a parlare di lui, a torto e a ragione, (come sempre si fa quando si discute di menti eccelsi) come del padre fondatore della psicanalisi moderna. L'incipt per avvicinarsi alla mente e ai misteri che conteneva molto probabilmente lo ricevette durante il lavoro svolto all'Ospedale Generale di Vienna mentre si occupava di pazienti affetti da problemi neurologici. Sicuramente la sua amicizia con Breuer, eminente fisiologo che gli aveva a lungo fornito aiuto psicologico (oltre a sostenerlo economicamente nei momenti di difficoltà) è da ritenersi fondamentale, nella definizione di quel cammino che lo porterà poi ad essere il Freud psicologo conosciuto anche dall'uomo della strada. Breur, all'epoca, aveva in cura una paziente, la famosa Anna O., che fu curata con il metodo dell'ipnosi e che Freud apprende e inizia a utilizzare sistematicamente nella sua professione, portandolo a pubblicare, nel 1895, Studi sul'isteria. L'aver concettualizzato le libere associazioni in una vera e propria tecnica di autoanalisi, gli permise di avvicinarsi al tesoro nascosto dei pazienti nevrotici (temine sconosciuto all'epoca). Essi con i loro problemi, le loro difficoltà a vivere una vita “normale”, con la loro insoddisfazione verso se stessi e verso la vita, gli offrirono la visione che molti aspetti psichici dei suoi pazienti, erano originati da una sessualità repressa. La strada della psicanalisi moderna era ormai segnata. Con la definizione del complesso di Edipo la fama di Freud varcò i confini del sistema psichiatrico e a tutt'oggi il modello del conflitto narrato da Sofocle, ripreso da Freud per spiegare molti dei conflitti di cui soffrono i bambini, gira indisturbato tra le varie scuole e correnti di psicanalisi sparse per il pianeta.
Da Freud al Counseling il cammino della psicanalisi è stato lungo e articolato. La maggior parte delle menti che hanno contribuito alla crescita del pensiero della salutogenesi, di cui il Counseling rappresenta in campo sociale, quasi certamente, l'espressione più alta al momento, erano dediti a sviluppare più di una disciplina. Le loro conoscenze, spesso, hanno spaziato dalla medicina alla filosofia, attingendo anche (e soprattutto) a culture diverse, da quelle tipicamente orientali orientate al concetto di anima e di una concezione spirituale dell'esistenza (il Buddhismo, i Veda e altre) a quelle nettamente occidentali e materialistiche del vecchio e del nuovo continente. La particolarità che fa del Counseling uno dei mezzi più moderni per avvicinare le persone al concetto di salutogenesi (normalmente definito benessere) non nasce, però, insieme alla psicoanalisi di Freud. Il concetto del termine paziente (generalmente usato in ambito medico, psicoanalisi compreso) è stato pienamente, definitivamente e in una visione a 360° nel sistema di conoscenza che sostiene il counseling, sostituito dal termine cliente. Il concetto della differenziazione e dell'adozione di tale termine e del corrispondente significato (chiaramente) sono da attribuirsi al diverso modello di approccio alla malattia, al disagio, e alla sofferenza in genere. Tale modello fonda le sue radici in una cultura rivolta ai bisogni degli individui, una cultura basata sulla logica che la scienza (la conoscenza) “deve” essere “necessariamente” utile alla felicità delle persone ed essere essa stessa (la scienza) generatrice di condizioni sociali, ambientali e psicologiche, efficaci al benessere degli individui. Questa corrente di pensiero sarà la base di quella che prenderà, nel XX secolo, il nome di psicologia umanistica-esistenziale.
Tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII il susseguirsi di eventi e di scoperte importanti in moltissime branchie del sapere quali la fisica, la religione, l'economia, la geografia, la politica e tante altre ancora, porta a definire quel periodo storico con il termine Illuminismo. Alla fine del XVII secolo Newton (1642-1727) stabilì la formula matematica della forza di gravità, confermando e continuando il lavoro di Galileo, nella costruzione del modello cosiddetto empiristico o sperimentale. Lavoisier (1743-1794), chimico, filosofo, naturalista, finanziere, formula la legge della conservazione delle masse mettendo ordine nella visione della natura, estraniandosi da concetti cabalistici ed esoterici che dominavano, a quel momento, il panorama della scienza. Il pensiero di Leibniz (1614-1716), filosofo e matematico, ma anche esperto di politica, filologia, storia, con una laurea in diritto, rivoluziona completamente lo “scopo” della filosofia con il suo “Nuovi Saggi sull'intelletto umano”, scritto che influenzerà fortemente pensatori del calibro di Wolff e Kant.
Con Leibniz ha inizio la corrente filosofica dell'umanesimo: la filosofia umanistica. Egli pone in evidenza l'attività e l'iniziativa della persona e mette in risalto le specificità e l'originalità di ogni individuo. Questa filosofia, pari pari, come la espresse il tedesco Leibniz, sono oggi, dopo 3 secoli, la struttura portante del counseling e lo strumento di trasformazione più potente da offrire a coloro che sono alla ricerca di un sistema, un mezzo, per migliorare la propria vita. Come ben si evince, il counseling non si rivolge alla cura di malattie psichiche o altre forme di disagi mentali, che restano sempre e comunque di competenza della psicologia, della psicoterapia, della psichiatria e altre discipline affini, ma si rivolge a chi, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, decide responsabilmente di migliorare il proprio livello di benessere.
Mi sorge spontaneo, a questo punto, tirare in ballo Franz Brentano (1838-1917), filosofo tedesco che tra i primi si interessò di psicologia. Egli incominciò a spostare la sua attenzione dai contenuti della mente, spina nel fianco dei pensatori dell'epoca, agli atti e ai processi mentali. Sicuramente molto influenzato dal pensiero aristotelico, al quale sono dedicati molti dei suoi scritti (Sui molti significati dell'esistente in Aristotele – 1862 / La psicologia di Aristotele – 1867 / Il creazionismo di Aristotele – 1882 / Aristotele e la sua visione del mondo – 1911 / La dottrina di Aristotele sull'origine dello spirito umano - 1911) arrivò a determinare una forma di psicologia empiristica che lo portò a formulare il pensiero che si rivelò poi il fulcro delle sue scoperte: l'intenzionalità. Brentano affermava che alla base di ogni fenomeno psichico c'è l'i., e suddivide in tre classi tali fenomeni: rappresentazione, giudizio e sentimento. La sua teoria dell'i. è molto importante poiché troverà grande sviluppo nella filosofia della mente e nella scienza cognitiva del novecento, fino ad arrivare all'inizio degli anni sessanta, quando si cominciò a parlare di intelligenza artificiale.
Anche se distanti quasi due secoli, Leibniz e Brentano, esiste tra loro un filo conduttore, il primo valorizza l'essere umano, nei suoi bisogni e nella sua originalità, e il secondo offre una teoria specifica dei processi psichici considerandoli frutti di un'intentio, sottintendendo, a questo punto, una forza di volontà alla base di ogni azione. Brentano, con la sua teoria sull'intenzionalità, sembra dare un motivo, uno spunto al pensiero di Leibniz, estrapolandolo dai vapori di una semplice teoria (specificità e originalità) Brentano offre all'uomo leibniziano anche una volontà.
Quando parliamo di counseling, parliamo di benessere psicologico, sicuramente, ma non ci stiamo occupando di una patologia della quale la persona possa essere afflitta, e per la quale si necessitano delle “cure” appropriata in contesti medici e clinici ben definiti, stiamo riferendoci a persone che intendono migliorare “se stessi” in un qualsiasi ambito esistenziale: l'amore, il lavoro, il denaro, la famiglia, la salute. Ecco, questo è il counseling: un mezzo per migliorare se stessi e le proprie prestazioni in un certo aspetto della propria vita. Questo è anche uno dei motivi per cui chi si rivolge ad un counselor è un potenziale cliente che richiede un servizio, una consulenza specifica per un problema specifico e non un paziente da curare.
Le persone quindi decidono di stare meglio. Anche Bergson (1859-1941), matematico, uomo di lettere, filosofo, sosteneva la medesima teoria, e su tale teoria formulò il seguente pensiero: esiste uno spirito vitale che anima l'essere umano. Il pensiero di Bergson fu influenzato dal positivismo evoluzionistico di Spencer così come dallo spiritualismo di Boutroux. Il pragmatismo americano subì forti influenze dagli studi di Bergson e forse questa frase (appartenente a Bergson) dice molto rispetto all'idea che noi europei abbiamo di questa nazione che vive al di là dell'atlantico: Compito dell'uomo è garantite il continuo crescere dello slancio vitale, impedendo che si arresti di fronte alle resistenza della materia. In primis la sua attenzione fu tutta rivolta allo studio della coscienza (l'Essai sur les données immédiates de la conscience – 1889) ma questo non gli forniva soddisfazione riguardo alla comprensione dei molteplici aspetti della realtà. Solo rivolgendosi all'universo, all'infinito, all'incommensurabile, riuscì a percepire che “qualcosa” anima la continua novità e la perenne conservazione del Tutto. Questo “qualcosa” sarebbe poi riconducibile all'uomo, come parte integrante di questo universo, dove si manifesta (nell'uomo) come Spirito Vitale.
E' interessante notare che è possibile tracciare un parallelo tra l'influenza del pensiero del filosofo Bergson sul pragmatismo americano e la considerazione che la nascita “sociale” del counseling avviene proprio negli states, all'inizio del '900. L'occasione della coniugazione del termine counseling avvenne pressapoco verso il 1920, anni in cui ci si si dovette occupare del reinserimento dei soldati che rientravano dalla prima Grande Guerra dal fronte europeo. A quell'epoca il primo apporto del counseling fu quello di reinserire, facilitare, riorganizzare la forza lavoro rappresentata da quei giovani e smarriti soldati, a cui la falce della guerra aveva risparmiato le speranze (e la vita). Possiamo dire che quei momenti furono caratterizzati da un impegno della società civile, quella parte già dedita all'assistenza sociale (infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, medici) nella presa di coscienza che una società che si cura dei propri figli se ne prende cura proprio nel momento del bisogno. Questo momento sociale (USA 1920) in cui appare forte l'attenzione e il fornire contesti di accoglienza a chi stava nel bisogno, mi trasmette una grande fiducia nel counseling e sento che le risorse (insite nel counseling) di trasformazione individuale sono applicabili anche, e soprattutto, a contesti collettivi.
Il pensiero corrente, secondo cui in un processo di counseling è soprattutto la relazione, che produce effetti catartici - una relazione chiaramente inserita in un setting chiaro (nel contratto) e pulita (non inquinata da fattori che possono alterare una comunicazione efficace) - nasce probabilmente dagli studi di Martin Buber (1878-1965). Una relazione inserita in un contesto IO-TU (Cliente-Counselor in un setting di counseling), così come ne parla il filosofo ebreo tedesco Buber nella sua raccolta di aforismi L'io e il tu, permette di accedere (per il cliente) a livelli di auto-comprensione che raramente (se non addirittura difficilmente) sono possibili in altri contesti. Ma come è possibile tale alchimia? Che cosa rende il counseling (in un contesto sano, efficace e scevro da fattori patologici) così potente? Buber, il cui processo di evoluzione era stato influenzato da Pascal, Nietzsche e Kierkegaard, diceva:
Quando incontro un uomo offrendogli l’io della coppia io-tu, egli non sarà allora una cosa tra le cose, non sarà circoscritto nello spazio e nel tempo, non sarà possibile descriverlo. Egli è come una melodia, che non è un insieme di suoni, come una statua, che non è un insieme di linee: occorre andare oltre per arrivare al Tu, occorre strappare e lacerare per passare dalla molteplicità all’unità. Quando considero separatamente il colore dei suoi capelli, la bontà del suo animo, nuovamente cado nel mondo dell’esso. Per entrare nel mondo del tu occorre rovesciare il rapporto dello spazio e del tempo, allora non sarà l’uomo nel tempo e nello spazio, ma lo spazio e il tempo nell’uomo. Quando lo colloco diventa nuovamente esso. Stare nella relazione vuol dire non esperire l’altro”.


Buber promuovendo la relazione IO-TU, in un contesto dove la dialogica esprime accoglienza e comprensione, materializza l'evoluzione della comunicazione intesa come flusso tra soggetto-oggetto trasmigrandola in una metacomunicazione soggetto-soggetto. Questo processo, la metacomunicazione sui significati di ciò che si comunica, è l'energia che alimenta la crescita del potenziale umano. Essere counselor significa, a questo livello, sentire il tempo e lo spazio che si muove nel cliente. Sentire lo spazio e il tempo nel cliente è il processo empatico che permette il fluire dello spirito vitale di cui parlava Bergson, dell'intenzionalità del cliente verso i suoi processi psichici di Brentano e la specificità e l'originalità che Leibniz attribuiva ad ogni essere vivente. D'altronde un impegno in cui Buber profuse molte delle sue energie e in cui, sicuramente, era coinvolto perché era di razza ebraica, perché aveva fede, perché credeva nel dialogo, perché propose un sionismo come “educazione”, fu quello di credere, di ragionare, di progettare e di lavorare per un futuro condivisibile tra ebrei e palestinesi. Egli credeva talmente nell'uomo e nelle potenzialità di superare conflitti che la sua idea politica prevedeva la costituzione di una comunità ebraica capace di scegliere come norma il “dialogo” per trasformare, insieme agli arabi (palestinesi), la madrepatria in una repubblica comune, per entrambi i popoli. 



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