lunedì 18 maggio 2015

Diarioterapia: La mia esperienza - 4/5


La struttura gestaltica della narrazione.

Per approfondire questo appena detto riporterò qualche pagina del mio libro, L'Intuizione. Voglio iniziare dal primo capitolo per evidenziare come già fin dall'inizio il racconto segue un suo movimento, dove il ciclo della gestalt è forse la teoria più significativa per quanto riguarda la ricerca di scoprire il senso della dinamica della narrazione e di estrarne dei significanti simbolici nelle parole e tra le parole, di ri-portare un senso ai termini usati e restituire loro il contributo e l'apporto che offrono al processo di awareness.

Capitolo primo.

Josephine aveva deciso di continuare gli studi, e per questo alla fine della scuola dell'obbligo aveva scelto un istituto dove si sarebbe specializzata nelle lingue. Ricordo che ne avevamo parlato molto un anno prima, lei ed io, avrei preferito una scuola che continuasse a formarla in quelle che, a mia ragione, consideravo materie importanti e dalle quali lei, purtroppo, fuggiva; mi riferivo alla storia, alla letteratura, al latino, così che se il suo desiderio di avventurarsi nel mondo delle lingue sarebbe sopravvissuto ad una formazione classica, ed io glielo auguravo, avrebbe avuto in questo modo una cultura più vasta su cui poggiarsi. Ma non ci furono versi di farle cambiare idea. Comunque non ho mai insistito più di tanto nel portare avanti la mia tesi riguardo al percorso di studi più adatto a lei, in effetti cercavo soltanto di farla riflettere sulla sua decisione e di spingerla a cercarne i motivi.

Pre-contatto.
Il racconto è leggero, descrittivo, si racconta il momento che si sta vivendo e le inevitabili riflessioni spontanee. Ci sono molte idee e riflessioni. Si parla di un'altra persona, mia figlia, dei suoi studi e di quello che ci eravamo detti tempo prima a riguardo a tali studi. Si parla di altro. Il pensiero è cognitivo organizzato. In questa fase di pre-contatto, si riporta ciò che si pensa, le opinioni, i concetti, e si spiega anche perché la pensiamo così (...formarla in quelle che, a mia ragione, consideravo...). Continuando...

Anche quella mattina, come facevo da quasi un anno, l'accompagnai alla fermata del bus che l'avrebbe condotta a San Sebastián dove frequentava il Liceo Linguistico. Era una mattina di giugno, bella, arieggiata; una leggera brezza s'intrufolava per i borghi del paese e se ne percepiva la freschezza specie in quelli non ancora raggiunti dai raggi del sole. Guidavo sovra pensiero e ancora un po' assonnato quando Josephine mi disse “Papà...sai...” e iniziò a raccontarmi della presentazione del concorso di scrittura, organizzato al liceo, durante il quale, proprio quel giorno, avrebbe letto l'opera migliore, quella che si sarebbe aggiudicata il primo premio. Era, così mi diceva, anche l'ultimo giorno di scuola, il sabato che volgeva all'indomani, tutti i suoi compagni di scuola, compresa lei, avrebbero disertato le lezioni per trascorrere una giornata al mare. Avrebbero festeggiato, così, tra un tuffo e giochi da spiaggia, la fine dell'anno scolastico. Pensai di riflesso, e con nostalgia, ai miei anni scolastici, a come io festeggiavo la fine della scuola e l'inizio delle vacanze. Nello stesso modo di mia figlia, in quelle larghe e sabbiose spiagge della Côte Vermeille, di fronte a Perpignan, solo che io non l'avrei mai detto ai miei genitori. Io al mare, ci andavo ma lo tacevo ai miei mentre speravo, che nulla di male ci fosse accaduto, né ai miei compagni e né soprattutto a me, durante quelle innocenti fughe ma pregne di un inevitabile senso di colpa, come lo sono tutte le cose che si compiono di nascosto.

Il pre-contatto continua a srotolarsi. L'attenzione è ancora centrata su mia figlia. Le sue esperienze (il concorso di scrittura, i compagni, il mare). Ho approfondito il suo ultimo giorno di scuola, i tuffi e i giochi da spiaggia. La spiaggia dove andrà mia figlia diventa il ponte per la spiaggia (nei miei ricordi) dove andavo io. L'attenzione viene riportata su se stessi, gradualmente, lentamente. Gli spunti del presente sono insight per raccontare un passato o, quantomeno, permettono al passato, di riaffacciarsi nel momento presente. Non si racconta più di altro e di altri, ma si inizia a narrar-SI.
I pensieri si fanno autoreferenziali. Ci si avvia vero la fase del contatto. Si intravede già una discesa verso il profondo: come lo sono tutte le cose che si compiono di nascosto. Continuando...

Non era un bel periodo, avevo tante idee ma quasi tutte erano dei riflussi di un lontano passato. Cercavo invano di attuare un ponte tra vecchio e nuovo, tra il mio passato e questo presente. Riconoscevo in questo rimuginare sul da farsi una mia inclinazione ad interessarmi al marketing, al commercio; i progetti che mi venivano alla mente si abbellivano con abiti alla moda ma nella sostanza erano quelli di sempre. Insomma la mia mente non riusciva a produrre niente di innovativo e che potesse interessare altri imprenditori o operatori commerciali. La crisi stagnava anche nel mio cervello e la mia attività di counseling boccheggiava, le persone vedevano e sentivano e, sicuramente, parlavano anche del mio centro. Ma coloro che si sporgevano dalla finestra a chiedermi di cosa mi occupassi e in che consisteva il mio lavoro erano veramente pochi. Ancora meno erano i coraggiosi che venivano nel mio ufficio, si sedevano e si facevano ascoltare. Erano queste, anime gentili che cercavano un vero conforto nella vita, persone che osavano sfidarsi, chi lamentandosi e chi combattendo, in questa partita che chiamiamo vita.

Contatto.
I pensieri continuano ad autoreferenziarsi, l'attenzione è portata alla propria vita e ai fatti della propria vita. Si descrive come si sta affrontando il momento presente e si fanno collegamenti tra passato e presente, molto veloci, come flash-back. Si sta cercando un senso a quel che accade per trovare un focus. La natura dei pensieri sembra voglia indirizzare il focus verso un aspetto materiale della vita (il lavoro, il marketing). E' solo verso la fine, con l'accenno al counseling, che l'attenzione si sposta dalla sfera materiale (lavorativa) a quella emotiva, dove, molto probabilmente, risiede il focus. Ekart Toll lo chiama corpo del dolore. Le interruzioni al contatto, che ben sottintendono al pre-contatto (Era una mattina di giugno, bella, arieggiata; una leggera brezza s'intrufolava per i borghi del paese...) e al contatto sono evidenti (Ma coloro che si sporgevano dalla finestra a chiedermi di ...). Continuando...

E poi c'era l'amore per Santina. Quello che mi portavo nel cuore. Ma il mio sentimento affogava nella solitudine. Lei era altrove, guardava e mirava chissà dove. La sera prima, molto ma molto tardi, le avevo scritto un'email in cui le chiedevo di essere sincera con me, la invitavo a comunicarmi le sue riflessioni sulle mie due precedenti lettere in cui le avevo, finalmente e coraggiosamente, confidato i sentimenti che nutrivo per lei. Anche se nel frattempo ci eravamo sentiti e visti, mantenendo, almeno in apparenza, una formale cordialità, il resto era passato sottobanco, era stato abbandonato, anzi recluso, nella stanza delle cose da non dire, perché imbarazzano, perché non si sa come sistemarle, verbalizzarle. La comunicazione non si era interrotta, lei continuava ad essere gentile e garbata nei miei confronti, ma ... ma si sentiva che si era creato una specie di buca, un vuoto che se avesse potuto parlare avrebbe richiesto di essere riempito e portato alla realtà. O seppellito.

Contatto Pieno.
Il passaggio è stato repentino. La lentezza del movimento che caratterizzava le prime due fasi di pre-contatto e contatto, ha accelerato all'improvviso. Di colpo mi sono trovato nel dolore, nel dolore dell'amore. Di colpo sono precipitato nel cuore dove esso stesso diviene focus e soma dei miei sentimenti. Il pensiero si sposta nuovamente su altro, ma non è l'altro di prima, non è altro fuori o diverso da me. Questo altro, adesso, nel contatto pieno, è una parte di me. E' un'estensione delle mie emozioni, perché in esso colloco aspettative, desideri. L'altro diventa l'altro in cui cercare quel me che ho perso. Nel contatto pieno esploro me esplorando l'altro. I confini si allargano, le identità si sovrappongono. E' interessante notare il termine finale seppellito, ciò di cui parlo, di cui scrivo, sta nella terra, sta giù nel profondo, è seppellito. Come una cosa morta. Come...ma non è morta. Continuando...

Ecco, in effetti la mia lettera di quella sera era una richiesta di realtà, invitandola a parlarmi delle sue impressioni era come se volessi, da parte sua, una presa di coscienza su quello che stava avvenendo tra lei e me. Non dico noi, poiché questa parola presuppone uno stato avanzato, al quale, quasi certamente non saremmo mai approdati. Cercavo una chiarezza, non una corrispondenza affettiva ai miei sentimenti, ma un parlare alla luce del sole. Penso che un uomo e una donna debbano avere il coraggio di parlare anche degli aspetti dolorosi di quello che corre tra loro. Quando dico parlare, in questo contesto, intendo confidarsi anche ciò che fa male senza farsi male. Le lacrime sono lacrime e i sorrisi sono sorrisi. Questa è la vita. E questo è l'amore.

Nel contatto pieno ci si identifica e ci disidentifica, in un movimento a spirale e ripetitivo. Il racconto diventa mezzo assoluto e indispensabile che chiarire, per ritrovare la propria identità perduta, per separare il l'IO dal TU, lo sfondo dalla figura. Le gestalt aperte si fanno sentire e chiedono attenzione, cura, stimolando e ri-mettendo all'opera la tendenza attualizzante di Rogers. In questa seconda fase del contatto pieno, il raggiungimento di una maturazione (consapevolezza), passa attraverso il ritorno alla razionalità: Quando dico parlare, in questo contesto, intendo confidarsi anche ciò che fa male senza farsi male. Non si tratta di giungere ad una fredda e scostante ragionevolezza, ma di affacciarsi ad un senno saggio e benevolo, sia verso l'altro ma soprattutto verso me. Questo è il processo di integrazione e di guarigione con cui osservo, prendo e comprendo le mie parti di me sparpagliate, disperse, disintegrate. Nel contatto pieno si apprende, proprio come a scuola, il significato di ciò che ci accade: Questa è la vita. E questo è l'amore. Continuando...

Mentre scendevo le scale dal mio appartamento, ipotizzavo che dare avvio ad un'associazione che offrisse servizi di consulenza finanziaria agli imprenditori locali, potesse essere una buona idea e, giunto nell'androne a piano terra, ero convinto della bontà di tale idea. Ma dopo aver lasciato mia figlia alla fermata del bus ed essermi diretto automaticamente verso il bar tabacchi dove avrei fatto colazione e quasi sicuramente comprato contro la mia volontà un pacchetto di gaulois bianche da 10, ebbi un'intuizione. Proprio mentre tirare il freno a mano, come se quel gesto avesse aperto e chiuso una connessione neuronale, un pensiero si affacciò alla mia mente. Un po' deluso pensai che fosse un'idea come tante. Uno dei soliti pensieri, quelli che vanno e vengono e non lasciano traccia alcuna. Come tanti. L'ennesimo.

Post-contatto.
Il ritorno alla realtà è evidente. Il pensiero si rivolge al presente e l'autoreferenzialità si esprime anche in relazione al mondo che ci circonda. L'angoscia e l'ansia sperimentata nel contatto pieno lascia il posto a una riflessione pacata sul mondo. Il dolore perde la sua centralità e il risorgere delle risorse (...ipotizzavo che dare avvio ad un'associazione...) ci propone alla nostra individualità e specificità. L'attenzione, nuovamente, compie un altro movimento: si sposta dalle emozioni interne sperimentate nel contatto-pieno ai fatti pratici. Si tirano delle conclusioni, non buone, non cattive, si tirano e basta. E con questo basta ci facciamo i conti. E' il momento in cui la domanda del counselor: come ti senti? non sembra più tanto stupida, non sembra più inappropriata, come a volte viene da considerare. Adesso, più di prima, si riesce a dire come ci si sente. Riporto questa frase intermedia ...e quasi sicuramente comprato contro la mia volontà un pacchetto di gaulois bianche da 10, ebbi un'intuizione L'Io (l'intuizione) ha ritrovato L'Es (il desiderio di fumare contro la mia volontà). Nel post contatto l'Io ha ritrovato l'Es.
Riprendendo il filo, già accennato innanzi, che tutti i racconti seguono inevitabilmente un percorso gestaltico e percependo che ogni racconto contiene a sua volta altri racconti per giungere ad altri mondi, mi viene da dire, che il racconto fotografa le gestalt e riponendole nella scrittura, le riporta alla luce. Esse sono lì, su un foglio bianco, impietose, nude e crude. Ritengo significativo riportare l'inizio dell'ultimo capitolo per allargare l'orizzonte di ciò che intendo sottintendere a questo concetto.
Già le prime battute la dicono lunga sul mio stato d'animo, sul desiderio di ritornare alla vita reale, di andare per il mondo con questa nuova consapevolezza di me e anche con una sana aspirazione di metterla in pratica.
Capitolo ventunesimo.
Era giunto il momento di concludere. Terminare, chiudere, mi risultava sempre difficile. In una chiusura è necessario dare un senso a quello che è stato, alle emozioni che si sono mosse, ai transfert che si sono attivati.
Per chiudere bene bisogna ritornare all'inizio del racconto per ritrovarne i fili conduttori che hanno sostenuto lo svolgersi del pensiero narrante, attraverso cui le specificità dei personaggi, con avventure e le metafore, svelano la favola in tutto il suo insegnamento. Offrire un ruolo ai personaggi è dare un senso e un significato alla loro stessa esistenza e alle connessioni con il protagonista narrante.
Quel venerdì si sarebbe stampato nella mia memoria poiché, finalmente, avevo ripreso ciò che era disorganizzato e staccato da me, avevo dato un senso ad ogni voce così che il tutto risultasse un coro armonico. Non ero più una meteora sfrecciante nel vuoto siderale in balia di occasionali forze gravitazionali ma un pianeta che orbitava intorno alla sua stella.
Erano trascorsi otto giorni da quella mattina in cui la mia intuizione aveva trasformato non poco la mia vita, dandomi modo di raccordare, legare, sciogliere, varie situazioni, pensieri, idee, così da restituirmi un senso di armonia e di benessere interno...

Scrivere questo libro per me ha significato riprendere la mia vita, tutta, senza buttare via niente, sono riuscito a riorganizzarla (Non ero più una meteora sfrecciante nel vuoto siderale in balia di occasionali forze gravitazionali ma un pianeta che orbitava intorno alla sua stella.), mi sono precipitato nel cimitero del mio inconscio (Hillman). Lì ho trovato pezzi di me morti, agonizzanti (...avevo ripreso ciò che era disorganizzato e staccato da me,..), che chiedevano disperatamente di tornare alla vita. Non si può vivere in un cimitero, dice Hillman, è angosciante. Ho avuto coraggio e ho dato una mano ad ogni parte di me che soffriva per aiutarla a rialzarsi. Ho sentito che il ciclo della gestalt si compiva, dall'inizio alla fine del libro è stato un ciclo completo, e in ogni capitolo un miniciclo si compiva nuovamente. Scendevo e salivo giù e dentro di me. E quando tornavo ero sempre più ricco, sentivo di chiudere gestalt aperte da millenni. Ho dimostrato a me stesso che potevo farlo, e l'ho fatto, e questa tesi è nuovamente un punto di arrivo e di ri-partenza al contempo. Non immaginavo, quando lo scrissi, che il mio libro si sarebbe intrecciato, nuovamente, con la mia formazione di counselor.
Ma l'evidenza mi dice che sbagliavo, e mi dice che la vita ci da sempre più di quel che ci aspettiamo.

La mia esperienza - 5/5


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